
Equivoco al contrario: ti fa credere che si tratti di una situazione fantastica, invece è drammaticamente reale. Un racconto di Raffaele Marra.
Il viaggio finale ha inizio in una notte di autunno.
Tieni per mano tuo figlio e cerchi di nascondere le lacrime nel buio denso che vi inghiotte.
«Quanto tempo durerà?» ti chiede lui stringendoti la mano.
«Non lo so. Credo un bel po’» rispondi insicuro, mentre continui a guardarti intorno in cerca di volti amici. Siete partiti all’improvviso, costretti ad abbandonare il vostro mondo in fiamme, distrutto dall’odio e dalla guerra. Siete circondati da una folla silenziosa, un intero popolo in fuga verso l’altro mondo. Eppure ti senti solo, abbandonato ad un destino che nessuno osa prevedere.
«Chi incontreremo al di là?»
Non sai rispondere alla domanda di tuo figlio. Sono davvero tante le cose che non sai. La tua mente trema almeno quanto le tue gambe mentre il mondo dove sei nato e cresciuto si perde lontano, divorato dal buio alle tue spalle.
«Dicono siano esseri ostili» continua il bambino. Speri che nessuno dia importanza alla sua voce infantile, eppure intorno a te alcuni sospirano, altri gemono disperati. Ma nessuno aggiunge parola; sono tutti ancora intenti a scrutare il cielo nero e il vuoto che separano mondo da mondo.
«Diremo loro che giungiamo in pace» gli rispondi carezzandogli la testa umida, cercando di tranquillizzarlo, tentando di essere convincente. Proprio tu che non hai più alcuna certezza.
Fortunatamente tuo figlio accetta la risposta e la custodisce in un silenzio quieto che finge una pace solo sognata.
Vi sveglia l’alba, e con essa le urla di chi ha già capito.
La nave si ribella al vostro discutibile esodo, si solleva e sbatte ovunque nell’urlo disumano del vento. Ti accorgi di tenere ancora la mano di tuo figlio quando il mare vi ingoia ingordo riempiendo occhi e orecchie di un gelo terribile. Ancora una volta non sai cosa fare, eppure mani e piedi spingono il tuo corpo verso il cielo che intravedi dall’acqua, là dove qualcuno, senza volto né nome, raccoglie il corpo irrequieto del tuo bambino.
Sono gli esseri dell’altro mondo, dicono siano esseri ostili. Li guardi sollevare tuo figlio che ritorna a respirare mentre tu ormai hai imparato a galleggiare. Lo abbracciano, lo asciugano, lo coprono.
La nave è ormai troppo lontana per raggiungerla e troppi corpi senza vita galleggiano come il tuo, più del tuo.
L’altro mondo è poco più in là, riesci quasi a vederlo. E così, mentre continui a galleggiare senza più una meta, pensi a tuo figlio, solo ma salvo. Lo saluti con un bacio e, con lui, saluti quello che resta della vostra meta che solo lui conoscerà.
La chiamano Italia, ma forse lui imparerà a chiamarla casa.
Dedicato a tutti coloro che ce l’hanno fatta, perché, in nome di coloro che non sono mai arrivati alla meta, si impegnino a costruire un mondo migliore
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