
Andare avanti, sempre. E che sia per controllarci o per infonderci una speranza, avere un sogno è come respirare anche senz’aria a disposizione. Primo classificato nella CENTODUESIMA Edizione di Minuti Contati con Franco Brambilla come guest star, un racconto di Maurizio Bertino.
Sulla sua bicicletta.
Arrivava, faceva il giro, mi dava un bacio e salutava gli altri minatori, poi impennava, che aveva da allenarsi per le Olimpiadi Intergalattiche.
«Tutto il primo tratto lo fai in bicicletta, sullo sterrato di Marte. Mica è roba facile! Poi lì c’è sempre il sole e sei costretto a girare con l’oblò in testa, per l’aria che non c’è, sai».
La sua disciplina, quella in cui voleva vincere l’oro intergalattico, era l’IN GIRO IN GIRO ASTRALE: si partiva con la bici, si proseguiva con l’astronave e si andava a caccia di aliens, quelli pericolosi, che mangiano gli uomini e di cui lo spazio è pieno. Così, almeno, diceva.
Era un bambino strano, mio figlio.
«Ehi, tu! Sì, dico a te!»
Un giorno, sulla strada verso casa, qualcuno lo fermò.
«Bella la tua bici, ti stai mica allenando per le Olimpiadi Intergalattiche?»
Mio figlio si fermò.
Ne avevo sentito parlare spesso, arrivava da una miniera dall’altra parte del globo. Non che i notiziari ne parlassero, erano più i talk show. Quel tizio, un giorno, prese baracca e burattini e andò a bussare al Governo (sì, proprio al Governo!) per parlargli della sua idea. Non che fosse sbagliata, ricordo che mia nonna me ne aveva parlato almeno un paio di volte, di storie di naufraghi che scrivevano un messaggio per buttarlo a mare insieme a una bottiglia… Però da lì a pensare che si potesse fare nello spazio e che potesse trovare chi la aprisse e rispondesse, beh, di acqua ne scorre. Resta il fatto che il tizio lo propose al Governo e lo fecero: mandarono tante bottiglie per lo spazio con il messaggio “Ehi, voi! Ci si becca su Marte per le Olimpiadi Intergalattiche!”. Insomma, robe da pazzi, no? Da non crederci. Al lavoro non si parlava d’altro. Alieni, Marte, Olimpiadi, bottiglie, messaggi, matti e tutti curiosi di vedere come andava a finire. E intanto mio figlio si allenava.
Sull’oloschermo fu uno spettacolo. Quel giorno ci diedero il permesso, nessun turno serale. C’era mio figlio! Quello strano che se ne andava sempre in giro con la bicicletta e un oblò calato in testa. La Sara era tutta nervosa, mi stringeva per quanto poteva intanto che esauriva le sigarette e la birra. Gli alieni erano proprio brutti, e grossi. Ma mio figlio (che intanto s’era fatto grande) teneva botta e piroettava su quelle astronavicelle che neanche Tom Gun in Top Cruise, un nastro dei tempi delle guerre che ogni tanto ci proiettavano in miniera. Ero contento e fu una grande festa quando risuonò l’inno terrestre per la consegna della medaglia d’oro. Sorrideva, mio figlio. Sorrideva e basta. Strano che non saltasse, per lui era il sogno che si faceva vero, dopotutto. Ma subito la tizia del talk show spiegò e in effetti non poteva che essere così.
«Davvero pensavi già alle nuove Olimpiadi Intergalattiche, figliolo?»
«Che?»
«Ma sì, mentre ti stavano dando la medaglia. Sorridevi, ma eri strano. Davvero le prossime le ospitano i Klingoniani? Pensare che credevo che non esistessero, non c’erano anche in quel vecchio Star Trekkoso o come si chiama?»
E lui sorride, sembra quasi uno sbuffo. Cose che io non so. Ma è giusto, è lui, mio figlio, l’eroe dei terrestri. Che ne so io? E lo stringo forte.
«Papà…»
«E il Matto? Quello che s’è fatto venire l’idea, che tipo è?»
«Tutto fuorché matto, papà. E’ che lo dipingono così perché…»
«Ahahaha! E io che pensavo che fosse matto mattissimo! Del resto, farsi venire in testa quella cosa delle bottiglie nello spazio!»
«Ma papà… In verità…»
«Però che spettacolo che avete tirato su… Vedervi è stata la cosa più bella della mia vita!»
«Papà, devo parlarti…»
«Lo so, figliolo…»
«Che cosa?»
«Lo so che non tornerai più, le miniere non fanno per te, tu devi allenarti». E lo stringo ancora più forte.
«Papà… Papà non…»
E vedo che gli vengono gli occhi rossi. E che comincia a tremare.
«Non lo dire»
«Cosa?»
«Non dire nulla che possa spezzare questo sogno così matto», mi sento sussurrargli.
Non mi risponde. Lo guardo. Gli do un buffetto. «E ora vado, ho il turno che inizia.»
Mi stringe forte.
Lentamente, lo allontano.
«Sì, vado anch’io, devo allenarmi, no?» Ha ritrovato il sorriso, anche se forzato e di sicuro non è più quello di un bambino.
Salta sulla bicicletta, fa il giro, mi manda un bacio con una mano, saluta gli altri minatori, poi impenna, che le prossime Olimpiadi Intergalattiche sono ormai prossime e tutti noi non si tira avanti, senza il suo sogno.