
L’importanza delle apparenze, la sottile linea che separa la verità dal piacere. Terzo classificato nella Sesta Edizione della Quinta Era con Eliselle come guest star, un racconto di Marco Roncaccia.
«Mi fai schifo, troia!»
Bercio nel suo orecchio mentre la penetro a fondo.
Lei urla qualcosa che non capisco, del resto mi da le spalle e ha un mio calzino in bocca.
La sento vibrare come il telefono quando mi hanno messo nel gruppo whatsApp delle mamme e dei papà della classe.
E’ un orgasmo. Lo riconosco perché ne ha già avuti altri tre.
Durante il primo ha iniziato a mugolare rumorosamente.
Le pareti si sono riempite di colpi di protesta dalle stanze confinanti della pensione.
«Zitta!» Le ho ordinato, ma era del tutto fuori controllo.
Ero l’unico con le mani libere, visto che lei è legata al letto.
La cosa più complicata è stata togliermi il calzino senza perdere il ritmo.
Sento che il suo corpo si rilassa sotto il mio.
La slego.
«Sei sudata come una cagna, vai a farti una doccia»
Obbedisce senza una parola.
Chi lo avrebbe mai immaginato?
Proprio io, l’ultimo dei romantici.
Come tutti i lunedì ho preso il treno stamattina presto per arrivare in tempo a scuola.
Insegno alle elementari in una cittadina a trecento chilometri da casa.
Quando esco dal lavoro vago senza senso per non tornare subito in pensione.
Oggi poi è il 13 e l’idea di trascorre il tempo libero del martedì da solo mi ha intristito.
Sono salito su un autobus a caso, mezzo vuoto. Quando, alcune fermate dopo, si è riempito, mi sono alzato per scendere e ho inciampato.
Sono franato su di lei che guardava fuori dal finestrino.
Ha picchiato forte la testa contro il vetro.
Quando si è voltata verso di me le usciva del sangue dal naso.
Io sono uno timido, impacciato e l’imbarazzo e la costernazione erano talmente forti che non sono riuscito a dire una parola.
Era bellissima e i suoi occhi neri pozzi profondi.
La sua reazione mi ha sconvolto.
Mi ha baciato.
Sulla bocca.
Non me lo aspettavo.
Ho avuto uno spasmo, ho serrato i denti, mordendole a sangue un labbro.
Avrei voluto non essere lì, scomparire, liquefarmi.
Mi sono rivisto poche ore prima mentre dicevo a Giulio, che aveva strattonato Carla all’uscita di scuola, «Le donne non si toccano neanche con un fiore»
Poi lei ha sospirato di piacere.
Ora, sono timido, imbranato e tutto il resto, ma non sono stupido.
Ho capito la sua natura e mi sono adeguato. Il suo odore, il suo sapore mi hanno reso immediatamente schiavo dei suoi desideri.
L’ho staccata da me con un gesto brusco e sono sceso alla fermata.
Mi ha seguito fin qui.
Per fortuna l’ho legata di spalle e non ha visto la mia faccia affranta mentre mi costringevo a prenderla a schiaffi e a insultarla.
La sento cantare sotto la doccia:
la vita è quella che tu dai a me, in guerra tutti i giorni sono viva, sono come piace a te.
La sua voce mi fa impazzire e finalmente capisco cosa si intende per “farfalle nello stomaco”.
So che non durerà.
Non posso bluffare per sempre e allora mi aggrappo ai secondi.
Guardo l’orologio, è passata mezzanotte.
Mi sorprendo a pensare a voce alta e a dire, proprio mentre lei sta uscendo dal bagno,
«Buon San Valentino».
«Come?» fa lei.
«Odio il tuo sguardo bovino» rettifico io.