Madri

«Devi stringere per forza così forte?» Paolo digrignò i denti mentre spostava lo sguardo dalle corde a Marica. Corde. Marica. Corde. Marica.
La cosa andava avanti da oltre trenta minuti: Marica prendeva dalla sacca una corda, la svolgeva e la passava attorno ad uno dei sostegni di legno e poi attorno a lui. E stringeva.
Marica diede uno strattone alla corda concludendo l’ennesimo nodo parlato e strappando un grugnito al ragazzo, fece tre passi indietro per valutare la proprio opera.
Sudava per la tensione, nonostante il fresco dello scantinato, ma uno sguardo al lavoro le fece correre un brivido lungo la schiena.
«Eravamo d’accordo, adesso non iniziare a lamentarti, ho quasi finito ormai.» Sentì un rivolo di sudore scivolare dalla fronte e correre lungo il collo per insinuarsi nella curva dei seni.
Anche Paolo ne seguì il destino, indugiando sul corpetto di pelle di Marica e immaginando il cammino nascosto dal cuoio lucido. Non che potesse fare tanto d’altro: era legato, sospeso all’interno di una struttura di legno, le gambe divaricate e strette alle cosce dalle corde. Sul torace una complicata serie di giri e nodi lo sosteneva a circa un metro dal pavimento in pietra. I polsi, legati agli estremi opposti del supporto, lo obbligavano piegato in avanti.
Se si esludeva il dolore al collo, che doveva tenere piegato per vedere Marica, e le fitte nel momento in cui le corde venivano strette, poteva quasi definire la posizione comoda.
«Adesso non dirmi che non ti piace.» Marica si avvicinò a Paolo e gli diede un lungo bacio sostenendogli la testa con le mani.
«Mmmm» Paolo si immerse nel bacio e per poco non si staccò la lingua di netto quando lei lo lasciò andare bruscamente per allontanarsi.
«Un nuovo rossetto, lascia un gusto strano… o forse è strano solo al primo assaggio…»
«Sì, ricetta speciale di famiglia» Marica si chinò lentamente sulla sacca, facendo stridere il cuoio attillato dei pantaloni «e adesso finiamo i preparativi, così poi possiamo continuare!»
Estrasse una corda rossa ed una nera intrecciandole insieme in un nodo quadrato che poi avvolse con attenzione attorno al collo di Paolo che, perso nel suo decolté, non dava segni di disapprovazione.
Marica iniziò a stringere.
«Credevi forse che non me ne sarei accorta?» Fissava Paolo e una lacrima iniziava ad intaccare il trucco.
«Di cosa parli?» L’adrenalina spazzò via l’eccitazione.
«Tu e Valeria» Marica piangeva e intanto stringeva la corda.
«Valeria? Santo cielo!» L’ultima parola era poco più di un sibilo.
Marica allentò la stretta, i suoi singhiozzi si intervallavano ai colpi di tosse di Paolo.
«Sì, tu e Valeria!»
Paolo, in preda della tosse, non vide arrivare lo schiaffo e sentì qualcosa di caldo sulla guancia.
«Marica, per favore, Valeria è mia sorella! Cosa ti salta in testa! – Paolo osservava le gocce di sangue sul pavimento.»
«Mi fate ancora più schifo» urlò Marica mentre fissava la sua mano: due unghie si erano spezzate.
Afferò Paolo per i capelli e gli sputò in faccia, poi cominciò a graffiarlo: sulla schiena, sul petto, sulla braccia.
Paolo urlava, Marica piangeva e continuava a graffiare, schiaffeggiare e insultare fino a quando non crollò esausta a terra.
«Stronzo! Porco! – Paolo era al limite, sangue e sudore gli annebbiavano la vista, niente di quello che aveva urlato durante l’ordalia precedente era servito.»
«Io ti avevo creduto, quando mi dicevi che avresti voluto vivere con me» la voce roca, stanca, irriconoscibile «che avresti lasciato Milano per trasferirti da noi.»
«Ma è vero» le parole gorgogliarono fuori dalla bocca miste a sangue e saliva «Io ti amo, non so chi o cosa…»
«Basta bugie, è ora di finirla.»
Si alzò lentamente, le gambe tremanti e afferrò la corda attorno al suo collo.
«E’ la stessa che ha usato mia madre con mio padre.» Iniziò a stringere.
Per Paolo tutto divenne nero.
 
«Come puoi esserne sicura?»
«Lo sono come lo eri tu.»
«Non essere presuntuosa, sei ancora una ragazzina!»
Paolo aprì gli occhi lentamente.
«Con papà è stato uguale, me lo hai detto tu.»
«Stupida, tuo padre non era un moccioso appena…»
Il rumore di uno schiaffo risvegliò i ricordi, il dolore e la consapevolezza. Era ancora legato nella stessa posizione, dalle feritoie non filtrava più la luce del sole e l’unica fonte luminosa erano un paio di candele poste agli angoli della stanza.
«Sono adulta, se vuoi puoi aiutarmi, altrimenti lo farò da sola.»
La porta d’accesso allo scantinato si aprì di scatto, inondando il locale con la luce elettrica proveniente dal corridoio. Paolo chiuso gli occhi istintivamente cercando di ritrarsi, ma la posizione e le condizioni gli regalarono solo una serie di dolori lancinanti ai muscoli.
Marica stringeva in mano un cappuccio, quando Paolo incrociò il suo sguardo perse il controllo della vescica.
Marica si fermò un istante, rivedere il ragazzo in quelle condizioni non era facile, poi riprese a camminare verso di lui.
«Con tuo padre non è servito: lui ha voluto vedere» Laura, la madre di Marica, era sulla soglia «quando hai intenzione di dirglielo?»
Marica tremava.
«Io…» Marica osservava il cappuccio che aveva in mano, fece un lungo respiro e riprese «… io non volevo farti quello, ma dovevo, però volevo perché sono pronta e…» il tono della voce era salito di un’ottava
Laura si avvicinò alla figlia e le posò una mano sulla spalla «E’ per questo che sei ancora una ragazzina, la parte difficile è questa. In confronto la preparazione è una passeggiata.»
Le tolse delicatamente il cappuccio, mentre Paolo guardava attonito Marica rifugiarsi nel petto della madre e scoppiare in lacrime.
«Quello che mia figlia vorrebbe cercare di dirti» riprese a parlare, accarezzandone dolcemente i capelli «è non siamo umani. Siamo simili, geneticamente compatibili, ma diversi sotto alcuni aspetti, diciamo, fondamentali.»
Con dolcezza allontanò la figlia e la fece sedere di fronte a Paolo, il volto rigato di lacrime di lei non riusciva ancora a sostenere lo sguardo di lui.
La madre riprese con un sospiro: «La mia ragazzina ritiene che tu sia l’uomo della sua vita ed ha deciso, di testa sua, che era giunto il momento. Ho detto che siamo simili a voi, ma non portiamo in grembo i nostri figli, questo ruolo spetta al maschio. E un maschio umano può andar bene lo stesso.»
«Perché tutto questo?» la voce di Paolo era un sussurro.
«Perché il vostro fisico deve essere allo stremo per non rigettare il nostro feto. Abbiamo provato altri modi, ma non hanno mai funzionato.»
«Perché Valeria?»
«Valeria è una scusa. Ho consigliato io a mia figlia di inventarsi qualcosa che potesse alimentare il suo odio. Come potresti fare altrimenti del male a chi ami veramente?» La voce di Laura si interruppe di colpo.
«Ora sta a te decidere. Vi lascio da soli.»
Laura risalì in casa, chiudendo la porta, le candele tornarono ad essere l’unica luce.
Paolo fissava Marica esausto – A cosa serve il cappuccio?
«Non è…» Marica si schiarì la voce «… non è bello da vedere il processo, ma non è doloroso.»
«Allora non serve. Ti amo.»

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