Occhi di gatta

Un omicidio, un sospettato, inquietanti presenze. Un racconto di Maria Rosaria Del Ciello, quarto classificato nella Special Monsters Edition.

 
Il caldo si era abbattuto pesante e invadente sulla città.
Serena quella notte non riusciva a prendere sonno. Si alzò per bere un bicchiere d’acqua ma un peso la inchiodò sul letto. Si sentì stanca. Forse era veramente malata, come diceva la mamma. Tutti quei capelli che perdeva, ogni giorno, e ora quella stanchezza. Sì, doveva essere malata.
Non riuscì a terminare quel pensiero che il freddo di una lama disegnò un percorso sul suo collo. Prima lieve, poi più profondo.
Non ebbe il tempo di gridare che già la sua gola era aperta sulla morte. E la lama infierì subito dopo sui suoi occhi verdi.
 
«L’abbiamo trovato commissa’» l’agente De Rossi entrò trionfante in commissariato trascinando un tizio che opponeva resistenza.
Il commissario si asciugò il sudore della fronte con un fazzolettino di carta e maledì il caldo torrido che quella mattina aveva invaso la capitale.
«Fallo entrare nella saletta degli interrogatori. Adesso arrivo.» Trangugiò una coca gelata e li raggiunse nella saletta.
«Allora muso giallo che ci facevi in casa della vittima?»
«Mio nome Kam, no muso giallo» replicò il giapponese.
«Ah facciamo i pignoli? Allora diciamo che se non parli subito ti sbatto dentro.»
«Io non so nulla.»
«C’è un testimone. Ti ha visto uscire dalla casa della vittima questa mattina.»
«Io lavoro in quella casa.»
«Lavoravi.»
«La signora Serena era buona con me, io facevo pulizie e lei sempre contenta. Perché io uccidere lei?»
«Questo me lo devi dire tu.»
 
«Commisario, abbiamo trovato questi in casa di Kam» De Rossi poggiò una busta sulla scrivania.
«Che roba è?» chiese il commissario.
«Capelli.»
«Capelli?!»
 
Salvatore era steso sul suo divano quando suonarono alla porta. Si trascinò a fatica e aprì.
«Salve, commissario. Avete trovato l’assassino?»
«Abbiamo un sospettato ma ci sono delle cose che vorrei chiarire con lei.»
«Entrate pure.»
Si sedettero e Salvatore offrì un caffè freddo.
«Secondo lei perché gli occhi? Perché sfigurarli?» domandò il commissario.
«Non lo so» la voce di Salvatore ebbe un tremito. Aveva amato Serena e pensarla morta era troppo doloroso. «Forse qualcuno invidioso, Serena aveva degli occhi bellissimi. E quando si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima, ecco, mai definizione fu più azzeccata. Serena aveva un animo bellissimo.»
Il commissario si guardò intorno. Quadri, tele, disegni, la casa di un artista. Ora solo e disperato.
 
«Adesso mi spieghi cosa ci facevano questi a casa tua…» chiese il commissario a Kam, indicando la busta piena di capelli.
«Io conservare capelli della signora, per ricordo…»
«Stai mentendo, smettila.»
«Io volevo salvarla.»
«Adesso cominciamo a farneticare, muso giallo? Salvarla da cosa?»
«Da uomo cattivo. Kitsune. Sa cos’è una kitsune commisario?»
Il commissario lo guardò con occhi di brace. Ancora poco e avrebbe peso completamente la pazienza. Ma Kam continuò. «Kitsune è un mutaforme, demone che si traveste da uomo per ingannare donne. E io taglio capelli per salvare donne.»
«Benissimo, muso giallo, a te più che la galera ti serve il manicomio. De Rossi!» urlò il commissario.
 
Salvatore era stanco. Ma non era il caldo. Si avvicinò alla finestra aperta e annusò l’aria. L’odore dei suoi simili lo stava chiamando. Serena non aveva acconsentito a posare e lui non era mai riuscito a fermare sulla tela il colore e la forma dei suoi occhi, occhi di gatta. Non era riuscito ad avere la sua anima. E se non poteva essere sua, non avrebbe dovuto essere di nessun altro.
 
Con un balzo felino Salvatore saltò dalla finestra e il suo corpo prese la forma elegante di un gatto, il pelo della coda svolazzante nell’aria. Nell’afa ammorbante della capitale.

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