
La disfida tra i birbantelli Trumpio e Pionghio in questo racconto di Raffaele Marra, sesto classificato nella IGNORANZA EROICA EDITION.
E venne il tempo in cui l’odio tra l’Impero dell’Ovest e l’Impero dell’Est si fece intenso e ingovernabile come melma d’intestino.
Era l’epoca di Trumpio e Pionghio, le due sfere contrapposte, cocciuti a plasmare a proprio capriccio le sorti del pianeta che li conteneva come un vecchio scroto paziente.
Trumpio era alto e spalluto, occhio chiaro d’aquila e pelo rossiccio di gatto. Pionghio era più giovane e morbido, lo sguardo indecifrabile che strideva con l’innocenza sulle gote sue.
Negli anni, il tema del bisticcio tra i due imperatori si era fatto via via più greve, segno di una contesa che non attendeva altro che sfogo e soddisfazione.
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«Il mio potere è grosso assai,
il tuo non lo sarà mai.
Quindi prostrati demente
ch’il tuo scettro vale niente.»
Il confabulare telefonico dei due era sempre di siffatto livello.
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«Cosa credi, paffutello,
ch’il tuo regno sia più bello?
Dunque chetati, maiale,
prima che ti faccia male.»
E via dicendo, in un turbinio ascendente di poetica antitesi.
Quando infine i tempi furon maturi, i due decisero di incontrarsi nella terra di mezzo per chiarire la questione.
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«Vienci presto, panzerotto,
e non fartela più sotto.»
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«Non temere, buon vecchietto,
io son là che già t’aspetto.»
Ma per uno strano scherzo del destino, Trumpio e Pionghio, con le relative schiere armate, s’incontrarono nel deserto di mezzo, là dove, nella immensa spianata di sabbia, sorgeva una timida casetta in paglia. Era la dimora segreta del saggio Swarzenegghi, eremita da più di trent’anni. Swarzenegghi era stato per tre quarti uomo e per un quarto dio. Poi i tre quarti di uomo avevano litigato con l’altro quarto e lo avevano cacciato via in un rutto che aveva fatto tremare gli Imperi dell’Ovest e dell’Est. In seguito a tale menomazione, Swarzenegghi era rimasto piuttosto basso e tarchiatello, ma simile a un orso quanto a forza, ferocia e, a volte, odore.
Lo stupore dei due contendenti, quando lo videro uscire dalla sua umile magione, fu enorme.
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«Cosa vedono i miei occhi?
Necessario è che mi tocchi,
per provare che sia vero
e non frutto del pensiero.»
Alla sorpresa di Pionghio fece eco la meraviglia dell’altro.
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«Rifugiato in tal deserto,
alla fin fosti scoperto.
Ora vedi di rientrare,
che c’ho un fesso da menare.»
Swarzenegghi si grattò qualcosa sotto il gonnellino di pelle di capra, quindi deglutì un rimasuglio della sacra cena che quegli arditi avevano osato violare. In quel mentre, una arzilla sacerdotessa fece capolino dalla porta della dimora, l’impazienza negli occhi, le dita nervose a tormentare le vesti scomposte. Era Pomata, rotonda e virtuosa donna di cappella. La sacerdotessa pareva infastidita dall’alterco almeno quanto il suo erculeo ospite.
«Maledettissimi figli di baldracca», esordì il burbero saggio esibendo la sua proverbiale prosa, «che venite a disturbarmi nel deserto. Non avete nessun altro posto dove portare i vostri strafottuti culi?»
A quelle dure parole, i soldati dell’Ovest e dell’Est, già provati dal caldo, dalla fatica e dal malgoverno, voltarono le spalle ai loro imperatori e fuggirono via tutti insieme al grido di:
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«Con l’armata un dì nemica
ce ne andiam a cercar fica!»
«E ora che siete rimasti soli», riprese Swarzenegghi lisciandosi la pancia già sudata, «vedetevela con le vostre lerce mani. Ne resterà soltanto uno (e anche meno).»
Il rosso e il pacioccone presero a menarsi senza pietà, sicuri entrambi che quello fosse l’unico modo per evitare le mani ben più pesanti del saggio del deserto. Furono schiaffi a man piena, e pugni sui denti, e schizzi di sudore e saliva. I due se le diedero di santa ragione incuranti dei vestiti ormai laceri che mostravano le nudità arrossate e dell’ora ormai tarda che richiedeva al fine la giusta quiete in quella terra di mezzo. Prima che il sole tramontasse del tutto, la generosa Pomata sbadigliò il suo disappunto, visibilmente vogliosa di riprendere il sacro rito prima che il sonno sopravvenisse.
A quella visione, Swarzenegghi decise di dare fine all’ormai stanca baldoria dei due mariuoli.
Si fece avanti e, con gesto perentorio, schiacciò entrambe le teste con altrettanti pugni che smorzarono all’unisono gli ardori. Trumpio e Pionghio caddero al tappeto ormai ignari di cosa fosse l’Ovest e cosa fosse l’Est.
Il vecchio saggio si voltò e, senza attendere altro, guadagnò nuovamente la sua dimora. La florida sacerdotessa lo attendeva felice, le braccia strette in un gesto di preghiera, le gambe molto meno.
«Senza esclusione di colpi», disse la pitonessa trattenendo il respiro.
«Tutto per te, baby», rispose Swarzy.
Infine, sulla Terra ormai salva, ancora una volta, la notte venne.