
A volte ci si ferma e si guarda al passato in cerca di quello che sarebbe potuto essere e che ormai sarà solo nella nostra fantasia.
Mi voltai verso la pendola, batteva la mezzanotte e mezzo. E tutte le cose avevano perso il loro tempo. Mi portai alle labbra una sigaretta e, affacciato sul terrazzo, cominciai a ripensarla. Erano anni che non la vedevo. Ma va così, le cose si perdono e non si ritrovano nei ricordi. E lei, oh lei, non fece eccezione.
L’avevo incontrata anni e anni prima di quella notte. Quando nemmeno io misuravo la mia vita in battiti, ma in respiri. Non appena la vidi, lì, appoggiata su una ringhiera a ridere insieme a stupidi ragazzi che non sapevano apprezzarla, capii che il mio destino era suo. Così mi avvicinai per stringerle la mano, ma lei, lei pensava già a un altro. Che non ero io. Lo sapevo. Poi, sì, siamo riusciti ad amarci, ma non abbastanza da poterlo capire. Ci siamo amati, per esempio, quella giornata al mare, inaspriti dalla salsedine. Il sole, stava alto nel cielo, e noi giù sulla sabbia. Mi disse:
«Siamo soli.»
Io risposi:
«Siamo soli, cosa?»
E senza pensare si buttò in acqua, scomparendo lentamente sotto la superficie.
Avrebbe potuto succedere qualsiasi cosa, ma non accadde nulla. Così rimasi sulla darsena, a guardarla nuotare. Il vento soffiava sui capelli bagnati. E niente più.
Un paio di anni dopo ci ritrovammo a una festa. Solo quell’ipocrita di dio sa quanti momenti le avevo dedicato. Da solo, in una stanza. Da solo, con me stesso. E mentre lei si gettava al mio collo chiedendomi dove diavolo fossi finito in tutto quel tempo, io mi limitai a sorridere e a dire: a casa! Non era stato semplice. Perire a poco a poco, dico. In silenzio, dico.
Poi si fidanzò col figlio di un grosso industriale, “uno che conta!”, si pensava. Ma avevamo torto. E non ci rivedemmo mai più. Lei aveva il suo primogenito da accudire, un Labrador, una bella villa, un marito che non le faceva mancare niente, le ortensie giù in giardino… non avrebbe avuto spazio per altro. E invece io, di spazio, ne avevo fin troppo. A casa, la sera. Ma non era bastato.
Lei era riuscita a dimenticarmi, e anche io pian piano provai a tirare avanti.
Una sera mi scrisse un messaggio chiedendomi:
«Come stai?»
Io visualizzai senza rispondere. E da allora non capitò più niente fra noi.
Ma ogni tanto ci ripenso, guardando pendole e fumando sigarette, e mi immagino come sarebbe stata la vita insieme. Vedo una piccola villetta in periferia, vedo lei truccarsi nello specchio del bagno, vedo lei accarezzarmi la testa dopo una brutta giornata in ufficio, vedo lei preparare la cena per i nostri bambini, vedo lei iscritta al corso di yoga, vedo lei sdraiata di schiena sul mio letto. Chissà se avrebbe funzionato o se ci saremmo lasciati dopo appena tre anni e sette mesi.
L’amore è una battaglia. E a volte è meglio perdere che morire.
Gettai il mozzicone sul marciapiede di sotto e entrai in casa. Era ora di dormire. Spensi la luce e mi sistemai bene sotto le lenzuola. Ormai non pensavo più a lei, ma sdraiato sul letto, quell’ultima volta, mi chiesi come sarebbe stato. E fissando il soffitto non ottenni nessuna risposta.
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