
«Sei sicuro di aver fatto tutto?» lo sguardo di Lucius mi mette a disagio.
«Ma sì… sì… ho controllato» Ho balbettato. Non va bene.
«Ma sì…» mi fa il verso, la voce gratta le orecchie. Due pacchetti di sigarette al giorno si sentono. «Cosa ho detto prima? Una volta che cominciamo, tutto deve essere perfetto. E invece?»
Mi tolgo le pieghe dalla tunica. Meglio che guardarlo in faccia.
Lucius sbuffa, il colpo di tosse segue, lo sputo catarroso conclude. «Rifammi l’elenco, così vediamo cosa manca. Presto.»
«Allora… tre foglie di prima primavera… due gocce di… due gocce di sangue di madre dopo il primogenito nato, del lupo un pelo che alla prima piena ha ululato… e poi…»
«E poi un cazzo!»
«Mi scusi, Gran Sacerdote…»
«Risparmia i titoli e prendi il fucile. Ci penso io a ripartire.»
Deglutisco. La superficie del portale è tremolante, ribolle, non è un buon segno. Da blu tenue, la superficie diventa un verde malsano. Un potente odore di alghe e pesce marcio ci assale. Le colonne e l’arco di pietra che contengono la porta sull’abisso tremano, l’intonaco si scrosta dalle pareti della sala.
«Non stare imbambolato!»
Lucius grida parole empie, la sua voce ora è chiara. Non sembra nemmeno la sua.
Mi giro. La stanza è un casino. Candele piangono cera al suolo. La veste mi si infila sotto i piedi, ma riesco a non scivolare tenendomi al tavolaccio al centro della stanza. Guardo la ragazza: la veste trasparente, le catene ai polsi. Per fortuna non eravamo ancora arrivati a quella parte della cerimonia.
Mormora qualcosa, la fronte madida di sudore. Spero di non aver esagerato con le droghe. No, sono sicuro su questo.
«Mercuzio!» Mi riconcentro. Riprendo a correre.
Sento una pacca viscida sul suolo di pietra dietro di me. Mi costringo a non voltarmi e corro verso la mia destinazione.
Evito gli altri discepoli che cantano le loro litanie in piena estasi.
Merda. L’armadio è chiuso. Mi avvolgo la mano nella stola e tiro un pugno al vetro mandandolo in frantumi. Un ruggito ultraterreno riempie la stanza. I capelli si drizzano sulla nuca.
Getto a terra i paramenti. Afferro il fucile. Due cartucce e il clac mi conferma che sono pronto a sparare. Mi volto verso Lucius. Ora è in piedi sul tavolaccio a cavalcioni della ragazza, la litania dei discepoli ora è più veloce. Dal portale un braccio enorme tasta il terreno cercando un appiglio per trascinare il resto di quell’oscenità nel nostro mondo. La mano palmata spazza l’area davanti al portale sollevando vortici di polvere. Il palmo è coperto di ventose che fanno scoppiare l’aria quando si staccano dalle lastre di pietra del pavimento. Il tanfo di pesce è terribile. Mi tolgo il cappuccio prima di vomitarmi addosso.
Lucius pronuncia un’ultima potente parola e pianta la lama cerimoniale nel cuore della ragazza.
Un verso lontano di rabbia ancestrale, il braccio si decompone davanti ai nostri occhi. La superficie è di nuovo blu, calma. «Ora ci siamo. Mercuzio,sei inutile. Con gli altri a cantare. Non sei ancora pronto.»