
La mamma dona, la mamma crea, la mamma forma, la mamma ti segna per la vita intera. Semifinalista nella Centesima Edizione di Minuti Contati, un racconto di Alberto Della Rossa.
Gli sudavano le mani. Laggiù, nello scantinato male illuminato, le efflorescenze di muffa disegnavano sui muri umidi ombre simili ai mostri che venivano a visitarlo la notte, nei pochi momenti in cui la veglia cedeva il passo all’oblio e ai terrori del sonno. I raggi della luna piena filtravano attraverso il vetro lurido della feritoia e vestivano la stanza di un’opalescenza lattiginosa e molliccia, così simile alla sua pelle e alla sua carne che talvolta sognava di fondersi con essa e filtrare via, oltre la porta che lo proteggeva da quel mondo esterno così vasto e sconosciuto.
La luce è innocua, pensava, non fa male a nessuno. I pensieri si srotolavano lenti nella sua testa, come gli insetti che strisciavano nell’angolo incrostato dove si accosciava per evacuare. Si contorcevano nel liquame, si facevano strada nella segatura inzaccherata e lui amava guardarli per ore, finché la luce dal vetro non si faceva debole e lui non riusciva più a vedere nulla, a parte le ombre dei topi che correvano lungo i bordi del muro. Allora, prima che diventasse buio pesto, raccoglieva un insetto tra le dita goffe e se lo cacciava in bocca. Alcuni erano buoni più di altri, e quelli senza zampe avevano un sapore migliore.
Ogni tanto, a intervalli regolari gli sembrava, al buio si sostituiva quel chiarore pallido, così diverso dal bagliore giallo che illuminava la stanza durante il giorno. Gli piaceva quella luce. Piace anche ai topi, si diceva, perché è più facile prenderli e addentarli. Li preferiva agli insetti e loro sì, avevano un sapore davvero buono ed erano caldi, anche se la mamma gli diceva sempre di non mangiarli, che gli facevano male.
La mamma gli portava il cibo e l’acqua, e a volte anche la segatura, quando la puzza era forte. Poche volte per fortuna, perché si arrabbiava tanto se c’era puzza, anche se non capiva a cosa si riferisse. A lui sembrava ci fosse sempre lo stesso odore, ma lui era stupido, la mamma lo diceva sempre.
Era buona, la mamma. Si prendeva cura di lui e lo proteggeva. Perché tu non vai bene per gli altri, diceva, ma la mamma ti vuole bene lo stesso anche se sei cattivo e brutto.
Gli sudavano le mani. Non avrebbe dovuto aprire la porta, lo sapeva. Non poteva uscire, era sbagliato. Lo diceva sempre, la mamma. Tu sei sbagliato. Ma la mamma non scendeva e non diceva più nulla da giorni, e nemmeno sentiva più il bastone battere sul soffitto quando lui si metteva a piangere di notte, per i mostri del sonno. Nessun rumore, nemmeno un passo, e la luce del vetro era calata tante volte.
Mise la mano sulla maniglia. Forse la mamma se n’era andata. Forse l’aveva fatta arrabbiare. Forse perché io sono cattivo, pensò, mentre apriva la porta col cuore in gola.