
«Kwakwaak! Hiihihiiii!»
Mollo un cazzotto al trasportino, odo un frullio d’ali e un borbottio di protesta.
«Sfogati ora, bestiaccia! Non ne avrai ancora per molto.»
Con quello che mi è costato trasportare un gallo nero fin sulla stazione spaziale avrei potuto concedermi due settimane di gozzoviglie. Invece sono qui, davanti alla bottega della fattucchiera con un pollo incazzato e una fame da lupi mentre l’orologio indica che mancano pochi minuti all’ora zero-zero.
Finalmente il negozietto si illumina. Lei esce dal retrobottega e, attraversando il negozio stipato di cianfrusaglie, viene ad aprire la porta.
«Entra» mi invita.
Varco la soglia.
«L’ho portato» annuncio. «Funzionerà?»
«Garantito. La mia famiglia fa questo da generazioni.»
Davanti al mio sorriso la vedo interdetta. Ma è solo un istante; con una scrollata di spalle minimizza e mi fa cenno di seguirla nel retro.
Lo stanzino è minuscolo eppure c’è tutto il necessario: candele, altare, coltello rituale, bacile, sale, immagini sacre al suo credo e, sorpresa, anche quelle sacre al mio.
«Confermi che quella che hai è una maledizione di costrizione?»
«Esatto. Un peso che mi è stato inflitto anni fa, e che da allora mi impedisce di avvicinarmi a chiunque.»
«Dovevi proprio averlo fatto incazzare.»
Mi rabbuio.
«Non tutti quelli che si professano cristiani sono brave persone.»
Lei ridacchia, scuote piano il capo. L’ho conquistata!
Mi indica una vecchia sedia in legno tarlato.
«Siediti lì e non fare nulla. Per tutto il tempo dovrai restare fermo e in silenzio.»
Annuisco e prendo posto. La sedia è anche più scomoda di quanto avessi immaginato. Immediatamente lei dà inizio al rituale.
Osservo i suoi gesti esperti: il modo in cui si serve del sale, il tono con cui declama gli anatemi e le formule, ora intimando ora pregando affinché le sue richieste in virtù dell’offerta vengano esaudite. È davvero vecchia scuola! Finalmente ho trovato qualcuno all’altezza del bastardo che mi ha imposto il sigillo.
Poi tocca al gallo e di nuovo i gesti sono rapidi e precisi. In un attimo mi asperge di sangue.
Siamo al dunque.
Ma il maleficio le resiste.
Lei lotta, fa ricorso a tutta la propria energia, a quella che scorre nella sua famiglia, nella sua linea di sangue.
La maledizione è salda, sembra impossibile da sconfiggere.
Ma lei non si arrende; grida, ringhia, raddoppia gli sforzi. Ora le vedo tutte quante: sua madre, sua nonna, la madre di lei e via via dalle pieghe del tempo ecco uscire generazioni di donne, di sciamane, di guerriere dell’occulto. Lo stanzino è gremito; intanto sembra che le carni mi vengano strappate di dosso. Mi mordo una mano ma non urlo.
Un tuono e il sigillo si spezza. Lei crolla a terra, sudata e insanguinata; lo sguardo brilla di orgoglio.
«Te l’avevo detto.»
Lascio la sedia, inspiro finalmente libero e leggero. Le offro la mano e l’aiuto a rialzarsi.
«Grazie. Ti chiedo un ultimo sacrificio.»
Non è un bacio quello che le sfiora il collo; la sua giugulare si apre dolcemente sotto i miei canini.
Era l’ultima minaccia.