
Una terra da difendere, un’anima da preservare, perché tu sei lei e lei è te, anche dopo la morte. Settimo classificato nella Seconda Edizione della Quinta Era con Andrea Atzori nelle vesti di guest star, un racconto di Manuel Piredda.
La sagoma dello sciamano si stagliava sulla scogliera illuminata dalla luna piena, ancora bassa sull’orizzonte; dietro di lui la sua ombra, fedele compagna di una vita, si allungava fino a perdersi nel fitto della foresta.
Il giovane rimase immobile per qualche minuto, intento ad ascoltare lo sciabordare delle onde contro il granito decine di metri sotto di lui: il mare sembrava triste quella notte e il riflesso della luna danzava senza pace sulla superficie increspata.
Spostò con movimenti solenni il gonnellino di giunchi che gli copriva la vita e sganciò dalla cintura un piccolo sacchetto di pelle, lo strinse al petto mentre si inginocchiava sulla nuda roccia come aveva visto fare a suo padre e suo nonno prima di lui.
Versò il contenuto sul palmo della mano, cinque semini verdi avvolti in una pasta smeraldina di foglie impastate; invocò la protezione degli antenati e li mise in bocca uno dopo l’altro, sforzandosi di contrastare i conati di vomito.
La luna si arrampicò fino all’apice della volta celeste prima che lo spirito si facesse avanti: l’ombra alle sue spalle si era fatta sempre più minuta fino a scomparire e materializzarglisi accanto; si abbracciarono per qualche istante prima che la sagoma nera gli posasse una mano sulle palpebre, chiudendole.
Dove si aspettava di trovare il buio, vide una luce pulsante e paglierina, circondata di figure che vi danzavano attorno come ballerini durante la festa del fuoco. Fluttuò verso il bagliore, che irradiava un senso di appartenenza e protezione, il ballo selvaggio delle sagome cessò d’improvviso e i suoi ospiti si voltarono verso di lui: riconobbe suo padre, pochi giorni prima era sul letto di morte, consumato dalla malattia, mentre ora sembrava ringiovanito di dieci anni, con spalle forti come quelle di un toro e gambe solide come tronchi.
Gli uomini parlarono all’unisono, il coro gli risuonò nel petto.
«L’anima della tua terra ti aspetta, presto ballerai con noi.»
Era una sentenza di morte, ma il suo cuore era in pace, estasiato dalla luce melliflua.
«Le tue rocce, la tua foresta e tutte le creature che la abitano saranno al tuo fianco, rendici fieri di te.»
Aprì gli occhi di scatto, lo scrosciare delle onde si era fatto più violento e un vento gelido agitava le foglie della grande foresta, persino le civette si erano messe a cantare.
Dal profilo della costa sbucò una prora rostrata, la nave degli invasori avanzò veloce ma silenziosa, sospinta da quel vento di sventura.
Il giovane capì e scattò in piedi, si spogliò posando il gonnello di giunchi sulla pietra più alta della scogliera, poi cominciò a sfregare due bastoni sino a generare il fuoco.
Pochi istanti dopo, una linea di fuochi di segnalazione tagliava la foresta fino all’entroterra: ogni villaggio avrebbe saputo dell’attacco, ogni guerriero sarebbe stato pronto a difendere quelle rocce antiche.
La sagoma dello sciamano si stagliava sulla scogliera, ballava intorno al fuoco con un ghigno beffardo, sapeva bene che presto avrebbe danzato con suo padre.