
Luce e oscurità, bene e male, buoni e cattivi… E una stessa fiaba può cambiare in base al soggetto attraverso i cui occhi scorre. Quinto classificato nella Seconda Edizione della Quinta Era con Andrea Atzori nelle vesti di guest star, un racconto di Flavia Imperi.
Licia si fissava le mani, incantata dai milioni di dettagli: le infinite diramazioni di linee della pelle e il blu delle vene, come fiumi sotterranei, pieni di segreti.
«Ancora biscotti, cara?» sentì dire dietro di sé.
«Cosa?»
Si girò di scatto, nascondendo le mani sotto il tavolo. Zia Moretta impugnava la teiera di porcellana sfoggiando un grande sorriso. Sorrideva sempre lei, anche quando Licia aveva impiccato tutte le bambole al lampadario di cristallo. Le aveva detto “non si fa” con voce mielosa, poi le aveva tirate giù placida e calma.
«No, sono piena. Penso che andrò a riposarmi.»
«Così presto?»
«È che non mi sento bene… » mugolò.
La zia le servì una tazzina dall’olezzo di rose «Bene, ma prima bevi, che ti fa bene.»
Licia ingurgitò il tè e si defilò nella sua stanza. Era rosa, come tutta la casa, e piena di maledetti fiori. Di nascosto, Licia era riuscita a salvare qualche ragno e a creare una piccola zona franca dietro il comodino, dove almeno loro potevano vivere in pace. Si infilò sotto le coperte e salutò un ragno, che salì sul letto e ricambiò il saluto.
Quando riaprì gli occhi, era nelle tenebre più assolute. Il cuore le iniziò a battere forte in petto, provocandole un dolore acuto. Non era mai stata molto in salute in realtà. Mano a mano che la vista si abituava, un paesaggio spoglio e desolato si delineava appena, fin quando una magnifica luna piena sbucò fra le nubi, inondando tutto di luce argentea. A quel punto il ragno le sgattaiolò fuori dalla manica e si trasformò in un lugubre individuo, avvolto in un mantello color carbone.
«Tranquilla, è solo un sogno. Presto finirà tutto» sibilò lui con una voce rauca, sfoderando una lama.
Le stava per balzare addosso, quando qualcosa saltò addosso al mostro.
«Zia Moretta!»
La donna lottò contro il mostro.
«Scappa!» urlò la zia, per la prima volta senza sorridere.
Licia fuggì fra sterpaglie e rovi, quando una fitta al cuore la fece accasciare a terra.
«Muori, maledetta!» sentì gridare l’uomo, e poi un rantolo orrendo.
«Zia!»
Con la mano stretta sulla camicetta, Licia si trascinò verso un cespuglio, sentì l’uomo fiutare l’aria. L’ultima cosa che vide fu una lama affondarle nel petto.
Licia guardò incredula l’uomo che stringeva il cuore di lei e sorrideva mostrando i canini.
«Ma… cosa… » si tastò lo squarcio al centro del petto. «Sto sognando?»
L’uomo si avvicinò e si inchinò.
«Lo hai fatto finora, principessa. Adesso sei a casa, finalmente» rispose.
Licia si guardò intorno. La nebbia si diradava, rivelando un magnifico castello nero, come quello che disegnava da bambina.
«Ma come posso essere viva? E zia… »
«Quella lurida fata ti rapì molti anni fa. Ti abbiamo cercata ovunque, ma ti aveva messo questo» alzò la lama, mostrando il cuore infilzato.
«Con questo la fata ti teneva lontano dal tuo mondo, Principessa. Ma adesso sei qui!»
Licia si alzò in piedi: ogni dolore era sparito. Si guardò le mani, candide come la neve. E per la prima volta in vita sua, sorrise.