Finché morte…

La vita, la morte, l’eterno, l’amore… Per sempre? Un racconto di Eleonora Rossetti.

 
Sono venuti a notte fonda.
Avrei dovuto capire subito che qualcosa non andava, accorgermi prima che quello non fosse il tipico passo dei nostri figli, che indugiavano per un po’ prima di andarsene quasi in punta di piedi, forse temendo di svegliarci.
Anna non ha avuto modo di gridare. In quattro l’hanno strappata via a forza dal sonno, se la sono caricati in spalla come un sacco di patate e sono fuggiti. Ho urlato io, ma quei dannati ladri non mi hanno neanche calcolato. Volevano solo lei.
Ho cercato con tutte le forze di alzarmi, ma il mio corpo non rispondeva. Ho bestemmiato ogni santo e diavolo, finché ciò che mi opprimeva il petto si è arreso alla mia furia, permettendomi di risollevarmi e di prendere a pugni ogni cosa avessi di fronte fino a sfondarla, pur di farmi strada.
Da lì mi sono fiondato all’aperto, barcollando come un ubriaco; non camminavo da così tanto tempo, figuriamoci correre. Ma il pensiero di Anna, sola e in mano a quei tizi, mi spronava ad avanzare, tagliando la strada a non so quante automobili che imprecavano a suon di clacson.
Arrivo, amore, arrivo.
 
Li vedo.
Si sono radunati in un campo incolto, attorno a un masso grezzo ornato di candele. Quattro ragazzi, giovani sbandati, dagli abiti pieni di toppe e borchie. Uno di loro sta declamando versi altisonanti riguardo a portali e patti, un coltello sollevato sopra di sé con entrambe le mani. Sdraiata davanti a lui sulla fredda roccia, la bocca piegata in un urlo muto, la mia Anna osserva la lama baluginare alle fiamme mentre si solleva allo zenit. Il ragazzo grida un’invocazione a Satana e d’improvviso il coltello scatta, perforando la poca carne che le è rimasta attaccata alle ossa.
E’ troppo.
Mi ritrovo in mezzo a loro, bramando sangue. Qualcuno urla e cerca di fuggire, ma lo afferro prima che possa volatilizzarsi. Crac! e il suo collo diventa floscio. Al secondo azzanno la giugulare come un leone, facendo crepitare i miei denti marci, da ultra ottantenne, in una morsa che neanche sospettavo di avere. Al terzo basta un pugno per spaccargli il cranio.
Quello col pugnale rimane a fissarmi per tutto il tempo. Forse crede che sia davvero il diavolo.
Non è così fortunato. Se ne accorge solo quando gli salto addosso e lo sventro a forza bruta, banchettando con le sue viscere.
 
«Anna…»
Lei non risponde. Mi chino sulla roccia, prendendola tra le braccia, il suo peso come un macigno. Adesso il suo corpo è davvero vuoto, lo sento. Quel rituale da quattro soldi ha corrotto le sue spoglie, e così la sua anima non può più rimanerci. Non tornerà mai più da me.
Carezzo la fede nuziale ormai troppo larga per le sue dita scheletriche, facendola tintinnare sulla mia. Le tengo la mano, proprio come nel giorno in cui abbiamo deciso di farla finita insieme.
«Finché morte…» riesco appena a sussurrare, un soffio dai polmoni rinsecchiti, mentre dentro di me, qualcosa che doveva essere marcito anni fa si spezza per l’ultima volta.