Inimmaginabili sventure sul tetto del mondo

Un piano diabolico, un’apocalisse improvvisa, mostri disinnescati da zombie. Vincitore della Romero Tribute Edition, un racconto di Maurizio Bertino.

 
Li guardo, dall’alto, il tetto del mondo, e penso che no, giorno peggiore non poteva esserci. Direte che il mio è un ragionamento superficiale, quasi egoistico, da stigmatizzare, condannare, vituperare. Certo, sono d’accordo. Ma non me ne frega un cazzo.
 
«Amore, non piangere, non credo tornerò…»
«…»
«Amore, non fare così. Ci ha presi una bufera su in cima, ti sto chiamando con il satellitare.»
«…»
«Marco è stato portato via da una slavina, io sono riuscito a non farmi trascinare giù, ma poi non abbiamo più trovato la corda e si è fatto buio!»

 
Un ultimo desiderio: sentire mia moglie. Trasmettere il mio messaggio a lei, al mondo. Sapevo che quello che avrei detto in quel momento sarebbe rimasto per sempre a ricordo di me, della mia persona. Probabilmente ne avrebbero fatto un film, scritto romanzi, parlato per decenni nei CAI di tutta Italia e non solo. Dovevo scegliere le parole con cura, tanto più che il gelo mi era già entrato dentro, la voce mi s’era impastata, i pensieri andavano confondendosi. Feci una pausa per mettere un po’ di neve in bocca, aiuta.
 
«Abbiamo provato a chiamare il Campo Quattro, ma niente, temiamo che sia successo qualcosa, una slavina, qualcosa di grosso. Toni e Sergio hanno cominciato a dare di testa. Si sono seduti, non volevano più andare avanti. Li ho spronati, presi a calci, insultati, senza risultati. Abbiamo passato la notte attaccati gli uni agli altri, per scaldarci in più possibile. Poi è finito l’ossigeno.»
«…»

 
Ora… Uno si trova sulla cima della più imponente e impervia vetta della Terra dopo avere speso una vita per prepararsi per l’impresa. Rappresenti la tua Nazione, hai organizzato una spedizione con soli tuoi connazionali, senza sherpa e altri aiuti esterni. Siamo gente di montagna, noi italiani. Parti, hai tutte le tv che ti fanno i servizi. Mesi per attendere la giusta finestra di tempo per lanciare l’assalto alla montagna, questo mostro silenzioso che si è eretto nel corso di milioni di anni fino alla sua forma attuale. Raggiungi la punta, pianti la bandiera, ti scatti le foto. Ma sei preoccupato: è filato tutto liscio, troppo liscio. Non va bene: senza contrasto, poco interesse. E allora fai passare il tuo migliore amico a chiudere la cordata, raggiungi il punto designato, quello in cui avevi piantato la mini carica con il corretto quantitativo, studiato per anni, per creare una slavina che sia grande il giusto, allenti la corda raschiandola con il coltello, fai fare il botto, il tuo amico viene trascinato via, tragedia, lacrime, tu uomo distrutto. Ma non basta e allora ecco che i cibi degradati che avevi fornito agli altri tuoi compagni cominciano a fare effetto e sono costretti a fermarsi, non possono andare avanti e tu, solo tra tutti, rimani lucido e in grado di salvarli… E poi chiami il Campo 4 e rimani come uno scemo in attesa di una risposta che non arriva. Ecco, vi pare che uno che s’è sbattuto così tanto possa accettare che gli vada tutto a rotoli?
 
«Amore, mi è rimasta poca carica. Prima di chiamarti ho fatto qualche video della situazione qui, questo telefono satellitare è fantastico, e l’ho condiviso su facebook, spero che il mio messaggio raggiunga il mondo. Quello che abbiamo fatto è grandioso. Solo italiani alla conquista dell’Everest, ti rendi conto? E dopo una notte passata nella zona della morte sono ancora qui che ti parlo. L’avresti mai detto? Tuo marito, un eroe tra gli alpinisti… Solo che… Ho postato da un po’, ma nessun like, nessun commento… Che succede?»
«…»

 
Insomma, fai tutto questo casino, immoli la tua vita a uno scopo, lo raggiungi e poi neppure un like e tua moglie ti risponde con multipli «…» all’ultima chiamata che le stai facendo, via satellite, disperato? E tutto questo perché, EVIDENTEMENTE, oggi la Storia ha deciso di volersi fare ricordare per qualche altro evento di cui non te ne può mai essere fregato di meno perché, diciamocelo, non tutti apprezzano lo stesso genere ed è giusto così perché la diversità è ricchezza, ma non quando rompe il cazzo a te! E così scappi, torni a salire fino a quando le forze ti sorreggono e infine, stremato, ti siedi, sul tetto del mondo, a rimirare la fine di ciò che conosci e a pensare che no, non ne è valsa la pena se gli ultimi che potranno portare il ricordo della tua impresa sono gli zombie dei tuoi compagni di cordata, Marco in testa, che non per vendetta, ma perché sei l’unica carne pulsante sangue alla loro portata, ti hanno inseguito e infine raggiunto per banchettare sulla tua salute.
 
E tutto questo mentre tua moglie, o quello che ne è rimasto di lei, cerca di rompere con i suoi denti rotti e già putridi, scambiandolo per te, il telefono ultima generazione che le hai regalato prima di partire.
 
Che fine di merda.