Contare sulle dita

Carico la fisiologica nella flebo e collego la cannula, il liquido scende fino al grosso livido nel gomito del vecchio. Serve davvero, questa roba? È bianco come le lenzuola del suo letto, metà del suo cervello è schiantato da un ictus, che si è preso più di metà del corpo e delle funzioni mentali.
Il nipotino tutti i giorni prova a insegnargli a contare. Ingoio il magone che mi si forma in gola, ma perché ho scelto infermieristica? Quanti anni avrà, cinque? Probabilmente non è neanche suo nonno vero, ma qualche parente acquisito.
Novantuno anni. Quest’uomo ha vissuto quasi quattro volte la mia vita. Cos’ha fatto? Cosa farò io, nel tempo che mi resta? Quanto sarà, vivrò a lungo come lui oppure…
 
«Come sta il nonno?»
Nessuno mi risponde, solo l’infermiere mi fa un sorriso, ma non mi dice niente.
Mamma mi ignora, parla con la dottoressa, che guarda dei fogli e dice cose strane.
«30Mg di alteplasi subito, altri venti in flebo. Poi 0,5 grammi di dipiridamolo in quattro dosi.»
Ma cosa stanno dicendo? Come sta il nonno? «Mamma…»
Papà è al telefono, in corridoio.
Mi ignorano tutti, li ignoro anche io. Vado dal nonno.
È steso a letto, ha un tubicino di gomma nel gomito, serve a dargli le medicine. Altri due nel naso, per respirare.
Ha gli occhi socchiusi, ma gira la testa e mi guarda. Muove appena le labbra, ma so che sta sorridendo. Mi sorrideva sempre, a casa, lo fa anche ora che è in ospedale.
Gli prendo la mano, è fredda e dura. «Dai, nonno. Contiamo. Come con le carte, ti ricordi?» Gli prendo l’indice. «Uno…»
 
Tommaso. Povero ninin, è l’unico che ci crede ancora. Sono in fondo. L’hanno capito tutti, l’ho capito io. Lui ancora no, è troppo piccolo. È piccolo, vero? Lui è piccolo e io sono vecchio. Ma non ricordo perché.
Mi solleva un dito. Lo fa sempre da quando sono qui, tutte le dita, avanti e indietro, dice cose che non capisco. Che non mi ricordo. Eppure, l’ho già fatta questa cosa, tante volte, perché non mi ricordo come si fa?
«Dai, conta con me. Uno.»
«Uno…» Ripeto quello che dice, lo fa contento.
«Bravo. Due…»
 
Mi sfilo i guanti di lattice e sfoglio i referti dell’ematologo. Non ha senso. «Dottoressa, non capisco. I valori di piastrine erano nella norma. Che sia una reazione al dipiridamolo?»
La dottoressa scorre il foglio con gli occhi e arriccia le labbra. Si volta verso il negativoscopio, la lastra del paziente parla chiaro: trombosi cerebrale venosa. Una macchia bianca brilla nel lobo occipitale, come un proiettile nella nuca di un prigioniero giustiziato sul campo.
Ricontrollo le analisi, poi le prescrizioni. Ho terrore a chiederlo, ma devo farlo. «Dottoressa… è stata colpa nostra? Abbiamo sbagliato i dosaggi?»
La dottoressa sospira. Mi mette una mano sulla spalla. «Non è colpa nostra. Abbiamo fatto il possibile. Ma un novantenne con ictus in corso… le analisi non sono mai completamente affidabili. Possiamo solo seguire le statistiche.»
Mi sforzo di annuire. «Capisco.» E invece no. Sta cosa delle statistiche, non la capirò mai.
 
Mi sento leggero. C’è solo luce intorno a me, fa caldo e sto bene. Benissimo. Mi guardo le mani. Le dita… ma certo, le dita! Uno, due, tre… ecco cosa voleva Tommaso, contava sulle dita come quando gli insegnavo la briscola! Che scemo, come ho fatto a non capirlo!
Enzo, fratello mio, mi sei mancato! Caporale Guarna, Tenente Bravi, Gianni… ci siete tutti. Vi ricordo bene, uno per uno.
Giuliana, sei bellissima come il primo giorno che ti ho vista. E non ho smesso di pensarti dall’ultimo.
 
Il nonno mi sorride dalla foto sulla lapide. Mamma dice che quando uno ha tanti anni come il nonno arriva un giorno che è stanco e va a dormire per tanto tempo. E il nonno ne aveva tantissimi.
Intorno ci sono tanti letti di marmo, con la gente che dorme. Nato il-morto il. Conto sulle dita, ma è troppo difficile. Ma secondo me, il nonno aveva più anni di tutti.
E quando sono grande, voglio anch’io imparare tutti quei numeri che dicono i dottori, così i nonni possono stare svegli fino a tardi e giocare a briscola.