
Sembra il mercato del pesce. Papà mi ci portava ogni mattina presto, mi diceva che ci saremmo divertiti e io gli credevo, perché lo amavo. Ora papà è morto, e chi lo ha ucciso stringe l’estremità di una lunga catena. All’altro capo ci sono io, io e tante altre ragazze. Loppe è alle mie spalle, frigna. Questo è un mercato del pesce, sì. Siamo noi a essere in vendita, odoriamo di mare e siamo coperte di sangue e liquami. Vorrei avere le squame. Sarebbero comode: uno strato in più per proteggermi da queste mani rugose.
«Hine bejir bjzi!»
È quella loro orrida lingua. Odiosa. Pure le parole sembrano irsute, più dure dei peli che hanno sul petto.
«Saevz?»
Mi fissano. Le spade gocciolano ancora delle grida dei miei fratelli e sorelle.
Un altro di loro scuote le spalle. «Parla di te.» Usa la mia lingua.
Che vuole? Me ne devo andare, questo è quello che voglio io. Non me ne frega niente di lui.
«Mi senti?»
Nego col capo e quello con la blusa color livido sputa: «Saevz jej fcivfe, pezin bi.»
Mi spinge col bastone. Tutte le altre fanno un passo avanti.
«Io scappo, Loppe.» Mormoro masticando i capelli, unica fonte di nutrimento da giorni.
«No, stupida. Ti uccidono. O peggio!»
I suoi occhi accennano qualcosa. Ci sono passi, una corsa furiosa e le grida di una ragazzina. Una lancia trova il suo cuore. Poi due mani le sue gambe. Non voglio guardare.
Vi ammazzerò tutti, bastardi infami: non mi piegherò.
Sono come l’albero vicino casa: nemmeno lui voleva piegarsi, così mio padre gli ha tagliato un ramo. Come l’albero, io e Loppe abbiamo ceduto.
Questa camera potrebbe ospitare l’intero villaggio. Adesso ancor di più, visto che siamo stati decimati.
«Bly, vuoi ancora scappare?»
Sono sorda, Loppe. Non ripetere quella domanda.
«Bly?»
«Che ti hanno fatto?» le lenzuola puzzano di rabbia. Macchie rosse. Strappi sui cuscini: gli artigli di un’animale messo alle strette, delle mie sorelle messe a quattro zampe. «Perché adesso vuoi scappare?»
«Il loro seme ci uccide. L’ho sentito dire.»
«Non è vero.»
Loppe mi prende il viso tra le mani. Non fiata, ma io capisco. E lei pure. Mi mette due dita sul grembo, ascolta il silenzio in cerca di un terzo cuore nella stanza. «Chi?»
«Il principe.»
«Vuoi tenerlo?»
Un cigolio. Io drizzo il capo, Loppe lo china.
«Fe ze jfer ijviepe?» è il principe. Mi sfiora i capelli, poi aggrotta le sopracciglia. Loro sono così, i nobili: diffidenti.
«Ne e geze gi jei» è la mia voce, sì. Gli ho confessato che Loppe sa di noi, la stessa Loppe che vibra con due gocce di rugiada incastrate tra le ciglia.
Non tutti gli alberi si piegano, ho scoperto. Nel giardino del principe c’è un albero senza un ramo, eppure tutti gli altri rami puntano al cielo. Mi ricorda Loppe. Io e lei parliamo poco ormai. Mi ha confessato di voler evadere. Lei non vuole dar loro figli, mi incolpa perché mi sono lasciata corrompere dal lusso, dai banchetti, dalle carezze. Cosa c’è di male? Chi altro può amarmi qui, se non il principe? Papà è morto. Tutti sono morti, o sono schiavi.
«Voglio affetto,» cerco le dita di Loppe tra le lenzuola. Trovo altro. Freddo. Un coltello. Non sa che l’ho sfiorato.
«Scappiamo, Bly. Ti prego.»
È tardi, Loppe. Il principe entra in camera. Ci vede ed è felice. Siamo nude e siamo piccole, siamo graziose e morbide rispetto alle donne della sua razza.
Mi bastano poche parole: «Loppe baene affigerzi.» Il principe rallenta.
«Bly, che gli hai detto?»
«Che non vedi l’ora di iniziare.» La bacio sulle labbra. «Ziej in!»
Lui è veloce. È addestrato. Afferra le braccia di Loppe e la solleva di peso, i suoi seni rivolti a me e il suo sterno esposto. Ho il coltello tra le mani. Non puoi negarmi di restare, Loppe, non puoi.