Le quattro virtù

Alla ricerca della perfezione attraverso il gioco del GO tra demoni, monaci e antiche tradizioni. Secondo classificato nella Monsters Edition, un racconto di Andrea Partiti.

Le quattro virtù

Il daimyo Nabeshima Mitsushige era noto per due grandi passioni: i gatti e il gioco del go.
La sua abilità di governante della provincia di Hizen ne era però intaccata: ignorava gli han confinanti e si chiudeva nel suo palazzo di Nabeshima per giorni, studiando gli antichi maestri cinesi e leggendo poesie durante il giorno, cercando nelle stelle il suo futuro durante la notte.
Ignorando gli Editti sulla Compassione verso gli Animali dello shogun Tokugawa, allontanava dalle sue terre cani, tanuki e ogni altra creatura considerata molesta per i suoi preziosi felini. La sola vista di un macilento cane randagio scatenava una nuova battuta di caccia per le vie della città.
Fu con questa fama in mente che Ryuzoji Matashichi si avvicinò alla residenza di Nabeshima, convocato con urgenza. Il daimyo cercava uno sfidante e aveva invitato gli allievi più promettenti dell’han, uno da ogni monastero.
Nella sala in cui fu accompagnato da due anziane domestiche, sedevano a terra altri due monaci dall’aspetto non dissimile da quello di Ryuzoji: le vesti povere, le teste rasate, un rosario al collo. Si sedette accanto a loro senza un cenno.
La stanza era spoglia con al centro un goban tra due semplici cuscini, senza neppure uno schienale o un bracciolo. Le goke erano aperte, in attesa di un giocatore.
Gli unici altri presenti erano quattro grosse gatte, sdraiate al sole sui tatami, come padrone della casa.
Senza clamore Nabeshima Mitsushige entrò nella stanza da una porta scorrevole e si inginocchiò di fronte al goban. Prese la goke contenente le pietre bianche e la avvicinò a sé.
Rispondendo a un implicito ordine, il primo dei tre monaci si avvicinò e si sedette in seiza di fronte al daimyo, a capo chino.
«Cos’è il go?» chiese Nabeshima.
«La migliore delle sfide, — rispose il primo sfidante. — Ogni mossa taglia più di una katana, ogni pietra svela strategie degne di Changqing.»
Nabeshima lo congedò con un cenno del capo. Una gatta rossa lo seguì fuori dalla stanza.
Il secondo si fece avanti prendendone il posto sul cuscino.
«Cos’è il go?» chiese Nabeshima.
«La più nobile delle arti, — rispose il secondo sfidante. — Ogni mossa è armonia, ogni pietra si dispone a creare un mondo, come le sillabe nei tanka o i fiori nel kadō
Un secondo cenno del capo e anche il monaco sfidante sparì, seguito da una gatta bianca.
L’ultimo sfidante si avvicinò.
«Cos’è il go?» chiese Nabeshima.
«Lo specchio dell’anima, — rispose Ryuzoji Matashichi. — Se nascondo dell’ira, sarò aggressivo nel mio gioco; se sono un codardo, le mie mosse saranno pavide. Nulla resta nascosto.»
«È lo shudan, il parlare con le mani. Dici bene.»
«Sì, maestro Nabeshima.»
«Vediamo, quindi. Ancora non giocherai con me: una delle mie compagne sarà la tua sfidante,» indicò una delle gatte rimaste, che rispose al suo gesto avvicinandosi.
Il daimyo si alzò prendendo la posizione da osservatore a lato del goban, mentre la gatta nera, con grande stupore di Ryuzoji, si sedeva di fronte a lui, gli occhi appena sopra al piano di gioco.
«Mostrati,» le ordinò Nabeshima Mitsushige.
L’aria si fece rarefatta, mentre l’animale cresceva di dimensioni, il pelo si trasformava in un abito pesante, gli artigli in unghie curate, i lineamenti felini in quelli di una donna pallida e delicata. Solo tracce di bianco nei capelli e gli strani occhi gialli rivelavano la sua natura di yōkai. Sorrideva in modo inappropriato alla presenza del daimyo, ma questi sembrava non curarsene.
«I tuoi compagni sono morti,» disse la fanciulla.
Ryuzoji non reagì, ancora incredulo per l’avvenuto.
Lei continuò: «Con il loro spirito impuro non meritavano di confrontarsi con il maestro Nabeshima e sono stati sacrificati.»
Ryuzoji Matashichi domandò al daimyo: «Perché questi bakeneko vivono nella vostra casa? Gli spiriti dovrebbero vivere lontano dagli uomini, è innaturale.»
«I bakeneko sono i miei maestri, rappresentano le quattro virtù del go. Incarnano la flessibilità, l’attenzione, la delicatezza e la spietatezza. Divorano i giocatori indegni e nutrendosene alimentano il mio spirito, la mia abilità.»
Ryuzoji annuì, perché erano le virtù che lui stesso perseguiva, giorno dopo giorno.
«Onegai shimasu,» gli disse la gatta nera.
«Yoroshiku onegai shimasu,» rispose Ryuzoji Matashichi, chinando la testa e posando con uno schiocco sonoro la prima pietra.