
Vita o morte? Sempre e comunque vita, soprattutto quando si tratta dei nostri cuccioli. Finalista nella Novantanovesima Edizione di Minuti Contati con Franco Forte come guest star, un racconto di Andrea Grillone.
È nelle situazioni primordiali di violenza che scopriamo quanto possiamo essere dicotomici. Il nostro corpo va in tilt, lotta o fugge. Questo non possiamo controllarlo, non possiamo scegliere.
La mia è una famiglia di tre persone: figlia liceale, padre licenziato qualche mese fa e ovviamente depresso, madre casalinga. Dov’è mia madre?
«Mamma?»
La mia schiena preme contro una gamba del tavolo sotto il quale mi sono nascosta. I miei polmoni bruciano al contatto con l’aria che inspiro violentemente con la bocca. Le mie coste gemono sotto il peso del cuore.
C’è una calma surreale. I miei pensieri si spezzano prima di raggiungere una lunghezza decente. Ma dov’è mia madre?
«Mamma?»
Prima di scappare a nascondermi in cucina eravamo in salotto. Inizio a strisciare verso quella stanza. Mi specchio nel cestino dei rifiuti. Il metallo curvo deforma la mia immagine, che sembra un Picasso di sangue raggrumato e lacrime.
«Mamma?»
Dov’è mia madre? Qualcuno tira su con il naso. Continuo a strisciare verso il salotto.
Papà oggi è rimasto a letto. Quando si è alzato stavo studiando in salotto. Gli ho sorriso e gli ho detto «Ciao pa’!».
Oggi ho visto mia madre trasformarsi in una bestia. C’era qualcosa di ferino nei suoi occhi, una pulsazione animale nei suoi muscoli. Non può essere accaduto davvero, non a lei.
«Mamma?»
Ancora qualcuno che tira su con il naso in salotto. Ormai sono quasi sulla soglia della stanza. I miei pensieri si spezzano nuovamente e si sovrappongono: «Ciao pa’!» – Mamma prende il posacenere di quarzo e lo sbatte con violenza su una fronte – La mia faccia è un Picasso di sangue e lacrime – Le mie coste gemono sotto il peso del cuore.
É tornata a uno stato primordiale. Le sue urla hanno graffiato ogni superficie liscia. Le sue urla hanno generato il silenzio nell’aria circostante ed hanno picchiato sul mio cervello come una scudisciata.
«Mamma?»
«Martina?»
«Mamma!»
In salotto mia madre ansima come una leonessa dopo la caccia. Appoggiata sul suo grembo c’è la testa violacea di mio padre, contornata dal cordino che raccoglie le tende. Mia madre continua a stringerlo. Asfissia.
Il mio quaderno è imbrattato di sangue dopo che mio padre ha sbattuto la mia testa contro il tavolo prima di iniziare il suo tentativo di strangolarmi. A terra, il posacenere di quarzo con cui mia madre ha stordito mio padre giace spaccato a metà.
«Mamma» bisbiglio.
Mia madre, tremante e paonazza, alza lo sguardo. Non è ancora tornata un essere umano.
Mentre mi guarda, vedo affievolirsi quella fiamma che era divampata nei suoi occhi. Torna la mia mamma di sempre, che non uccide nemmeno le zanzare. La presa sul cordino si allenta e le lacrime iniziano a rigarle le guance.
Lotta o fuga.
Ho sempre pensato a mia madre come ad una donna programmata per fuggire di fronte al pericolo. La conosco, è sempre stata così. Si dice “cuor di leone” per indicare una persona coraggiosa. Un leone non sceglie di affrontare il pericolo: la sua è una reazione istintiva. Mia madre ha scelto di salvarmi.