Il miglior amico di Nina

Il miglior amico di Nina

Nina tese le braccia. Nelle mani nude, rese livide dal vento, aveva una manciata di palline di tutti i colori che emanavano odori dolci e strani.

Sua mamma le aveva spiegato che le signore le facevano sciogliere nell’acqua bollente della vasca da bagno, per renderla profumata e fare la schiuma. Loro non avevano una vasca da bagno, solo la doccia: Nina le aveva riposte in una scatoletta di latta con la fotografia di una locomotiva rossa stampata sul coperchio, e ogni tanto le tirava fuori e se le rigirava fra le dita per sentirne il profumo. Erano la cosa più bella che aveva.
Pescò quella azzurra, che profumava di lavanda, e la inserì delicatamente nella faccia bianca del pupazzo, sotto al berretto di lana. Per l’altro occhio scelse quella blu: fece un passo indietro e controllò come stavano. Lo sguardo bicolore le fece l’occhiolino.
Per il naso prese quella arancione, la sistemò con cura: appena il pupazzo ebbe un naso lo arricciò con una smorfia.
Lei riprese a sistemare le palline, assorta. Una fila di tutti i colori diventò la bocca, che si allargò subito in un sorriso.
«Vieni a giocare!» strillò lei ridendo, e non lo aspettò: corse via come un cucciolo in un prato, coi calzoni rossi e il giaccone colorato che spiccavano brillanti nel candore.
Quella sera, nel suo pigiama con il panda, aspettando che la mamma le dicesse di infilarsi fra le coperte, schiacciò il naso contro il vetro e sorrise.
C’erano le stelle: nessun pericolo di disgelo per quella notte.
Fece ciao con la mano e sorrise.
«Ci vediamo domani» disse fra sé, e si infilò nel letto.

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