L’albero dove i padri sognano i figli

Un sogno può cambiare una vita? Sesto classificato nella Terza Edizione della Quinta Era con Francesco Troccoli nelle vesti di guest star, un racconto di Marco Roncaccia.

 
Non sogno più.
Il che è un problema visto che nel mio ultimo sogno, circa 20 anni fa, c’era lei.
 
I capelli rossi e le forme di Jessica Rabbit, ma molto, molto più reale.
Si presentò alla mia fase REM vestita di nero: tubino di pelle, autoreggenti con la riga dietro e un decolté tacco 15.
Sarei rimasto a sbavarle dietro tutto il tempo se non mi avesse stregato con la sua intelligenza e l’ironia del suo sguardo.
Parlammo per tutta la notte e scoprimmo di essere molto simili.
Amavamo sbronzarci di perroquet, un cocktail a base di pastis e menta; impazzivamo per i libri di Saramago e per la musica dei Weather Report.
Solo in fatto di cinema scoprimmo una piccola divergenza.
Lei ama il cinema tedesco, io non guardo film che non siano americani.
 
«Sai il primo appuntamento per me è sempre un test» mi disse mentre si sistemava una calza.
Trovai quel gesto femminile ed eccitante.
Lei lo capì, sorrise e continuò.
«A chi lo supera concedo una secondo incontro, con meno parole e più sesso»
La sua lingua, appena intravista tra le labbra infuocate di rossetto e i denti bianchi e perfetti, mentre diceva la parola “sesso” mi mandò in estasi.
«E io ho superato il test?» Biascicai speranzoso.
«Te lo dico la prossima volta» sussurrò maliziosa.
«Ci vediamo sotto l’albero dove i padri sognano i loro figli».
Poi suonò la sveglia.
 
Mi svegliai eccitatissimo.
Quel “ci vediamo” era per me la conferma del fatto che il secondo incontro ci sarebbe stato. Non avevo idea di cosa fosse “l’albero dei padri che sognano i figli” ma, ero sicuro, mi si sarebbe rivelato nel sogno successivo.
Da 20 anni le sono fedele.
Due cose sono cambiate nella mia vita:
Ho smesso di sognare e non provo più attrazione sessuale per le altre donne.
Andare a dormire per me, ora, è come giocare al Superenalotto.
Finora i numeri del secondo appuntamento con lei non sono ancora usciti.
Ma io spero ancora.
Rileggo i libri di cui abbiamo parlato, ascolto la nostro musica e, ultimamente,
ho iniziato a vedere i suoi amati film tedeschi.
In un mercatino, proprio oggi, ho trovato un vecchio VHS. “Dove sognano le formiche verdi” di Werner Herzog.
Ho ripescato il mio vecchio videoregistratore e ho infilato il nastro.
 
Poi è arrivata la scena del supermercato.
 
Ci sono degli aborigeni australiani in un supermercato seduti per terra in una delle corsie.
Lance Hackett, il protagonista, chiede al proprietario del negozio di spiegargli cosa stiano facendo e questi risponde che stanno pregando.
Un tempo, dove ora ci sono detersivi e vernici sorgeva un albero sacro, abbattuto per costruire il negozio.
Era il luogo deputato per sognare i figli. La religione dei nativi, infatti prescrive che un figlio debba essere progettato in un sogno per poter nascere.
 
Il mio cuore si spezza come il tronco sacro.
«Ci vediamo sotto l’albero dove i padri sognano i loro figli.»
Solo ora capisco la citazione.
 
L’albero non esiste più e io, 20 anni fa, non passai il test.