Terraferma!

La meraviglia della scoperta, il dramma della sopravvivenza a ogni costo. Secondo classificato nella Settima Edizione della Quinta Era con Alessandro Vietti come guest star, un racconto di Angelo Frascella.

 
Avevo nuotato seguendo la rampa. L’enorme manufatto saliva, avvolgendosi su se stesso, dal fondo del nostro abisso fino allo specchio di sopra ed era percorso da miei simili che spingevano enormi casse lungo di esso.
Il viaggio era stato lungo ed ero stanco, ma volevo sapere. Feci un ultimo sforzo e raggiunsi lo specchio di sopra. Ero stato quassù da piccolo: mi ci aveva portato mio padre. Mi aveva detto di fare un gran respiro e tirar fuori la testa. La visione dell’enorme volta azzurra mi aveva tolto il fiato. L’idea di rivederla mi faceva sentire elettrizzato quasi come quella di scoprire lo scopo della rampa.
Quando finalmente riuscii ad abituarmi alla luce di fuori, feci un giro su me stesso per guardarmi attorno. Aprii la bocca per lo stupore e l’aria che mi entrò in gola mi fece bruciare i polmoni.
Tornai sotto e provai a riordinare le idee. Un ricordo d’infanzia mi venne in aiuto: fiabe che parlavano della Terraferma. Le immagini di quei racconti fluirono nella mia testa, libere di dare un nome alle cose.
Sbucai di nuovo fuori. Ora sapevo cosa stavo guardando: un Carro a Vela, come quelli delle antiche storie della Creazione del Mare. Alcuni miei simili, avvolti in tute piene di acqua, caricavano il carro. Sentii la necessità di unirmi a loro e divenire parte della leggenda.
 
All’inizio fu entusiasmante. Il carro filava velocissimo in quel mondo fatato. Ogni giorno scoprivamo nuove creature di terra. Ma le provviste cominciarono a scarseggiare e l’acqua per le tute divenne sempre meno respirabile.
Il capitano non voleva tornare indietro. I miei compagni decisero di ucciderlo.
Il giorno designato chiesi di fare il turno di vedetta. Se non avessi visto, avrei potuto fingere che non fosse mai accaduto.
Ero lì, quando i miei compagni lo circondarono ed estrassero la lama. Distolsi lo sguardo e vidi la striscia azzurra all’orizzonte. Allora lanciai il grido telepatico: «Acqua!»
Avevamo raggiunto il Mare Lontano.
 
L’acqua aveva un sapore diverso, era più limpida, odorava di fresco. Eravamo così presi dai festeggiamenti che non ci accorgemmo subito della gente che ci osservava in silenzio.
Le loro scaglie erano colorate e festose, non smorte come le nostre, gli occhi più grandi e le gambe e le braccia più lunghe e sottili. Per il resto non sembravano così diversi da noi.
«Da dove venite?» chiesero.
«Dal Mare Nostro.»
Annuirono seri e scomparvero.
 
Stavo dormendo, quando mi sentii toccare.
Aprii gli occhi: uno di loro che mi puntava un coltello. L’acqua era lurida di sangue. Non dovetti chiedere per sapere che era quello dei miei compagni.
«Perché l’avete fatto?»
«È un misero prezzo per la salvezza del mio popolo. Tu però vivrai, tornerai dai tuoi e dirai loro di non tornare.»
 
Da giorni viaggio su questo carretto di salvataggio. Sono allo stremo. Per questo dico a chi troverà il mio corpo essiccato: non lasciate che questo delitto resti impunito. Tornate in forza e uccideteli tutti. O, una notte, giungeranno nel Mare Nostro e uccideranno voi e i vostri figli.