Verso Giove e oltre l’infinito

Gioviani e terrestri: come comunicare? La risposta potrebbe non piacere a tutti. Finalista nell’Ottava Edizione della Quinta Era con Alessandro Forlani come guest star, un racconto di Adriano Muzzi.

 
«No, scusate, forse non ho capito bene; mi state dicendo che siamo arrivati fino a Giove, dopo dieci anni di viaggio, spaccandoci i maroni con solitari, rhum e freccette, e adesso c’è un cavolo di polipo che si sta succhiando il gas del nostro aerostato?»
Gli occhi del capitano sembravano rilasciare bagliori rossi mentre andava su e giù, calpestando con gli stivali neri la plancia dell’enorme dirigibile G. Marconi.
«Ha capito bene, signore, stiamo precipitando verso il centro di Giove, il mostro tentacolato non si muove dalla camera interna. Non c’è modo di farlo uscire di lì.»
«Avete provato a “dialogare” con lui?»
«Sì, abbiamo mandato messaggi su tutte le frequenze radio; nulla, anzi le valvole dell’amplificatore hanno preso fuoco.»
«Preso fuoco…» ripeté meccanicamente il capitano tormentandosi la barba folta. «Getti di vapore bollente?»
«Fatto, li ha inspirati come fossero fumenti all’eucaliptolo…»
Il capitano guardò fuori dall’oblò: dense nubi di ammoniaca e idrogeno ruotavano vorticosamente intorno all’equatore formando bande orizzontali di colore bianco, rosso e marrone.
«La verità è che siete un manipolo di rammolliti; il viaggio a bassa gravità vi ha reso flaccidi nello spirito e nel corpo.»
Tutti gli ufficiali presenti abbassarono lo sguardo, all’improvviso interessati al lucido degli stivali.
«Vado io da lui, maledizione! Vedremo chi è il vero duro.»
Così dicendo, prese gli occhialoni da pilota, il cilindro, i guanti da manovra e una lancia elettrificata.
«Signore, le consiglio di indossare la tuta da esterno.»
«No! Non sono una mammoletta, il polipetto deve vedermi nel pieno del mio vigore fisico. Passami il respiratore con la bombola.»
 
Il corridoio di servizio era angusto e semibuio. Il capitano bestemmiò in vari tratti, finché finalmente giunse alla grande camera dell’areostato: un enorme pallone riempito di gas. Attivò la procedura di compensazione nella camera stagna e varcò la soglia dove l’aspettava l’alieno gioviano. Il capitano rimase sbalordito dall’enormità del polipo: occupava tutta la superficie come burro spalmato all’interno di una pagnotta, e aveva centinaia di tentacoli di tutte le misure e forme.
Alzò una mano in segno di saluto, poi disse:
«Ehi tu, mi capisci? Sei intelligente, o sei solo un pesce che vuole essere arpionato a dovere?»
Così dicendo accese la lancia elettrica e avanzò verso quella che doveva essere la testa. Improvvisamente il mostro allungò decine di tentacoli e lo trasse a sé, immobilizzandolo.
«Ehi, brutta bestia cosa pensi di fare e… ehi, ma, ah… ma il tentacolo me lo stai mettendo nel c… ahaaa, però! Voi parlate così, è un modo per stabilire una connessioneee? Ahaaaa…»
 
«Allora capitano, non ci ha ancora spiegato come è riuscito a convincere il mostro ad andarsene.»
«Beh…»
«Ha stabilito un contatto con lui?»
«In un certo senso…»
«Ma che le ha detto esattamente?»
«Vai a farti fottere! Al lavoro!»
Il capitano chiuse gli occhi, si leccò le labbra e sorrise sotto i baffi ancora viscidi.