Capitolo Due

Capitolo Due

Regola numeo uno: mai imbattersi in un libro di vera magia quando si medita vendetta… Un racconto di Beppe Roncari.

 
Tornavo quella sera a casa, passeggiando sul Naviglio Pavese, il cugino povero del Naviglio Grande.
Non ci sono granché locali su quel ramo del canale e l’unico degno di menzione è il Sacrestia. Ci andavo spesso con gli amici, ma non quella sera.
Mi era bastato passarci davanti per spiare dalle finestre affumicate ad arte ciò che mi aveva causato un improvviso moto di vomito. E non avevo toccato alcool.
Il pomeriggio del giorno prima, l’olandesina mi aveva gelato: aveva il ragazzo, a Rotterdam, e comunque lei non era di quelle che fanno l’Erasmus per divertirsi.
Ne avevo parlato quella sera stessa con il mio migliore amico. Non ricordo le mie parole esatte, ma di certo gli avevo detto che lei mi piaceva. Molto.
E allora com’è che quelle stesse lingue che mi avevano mentito non più di ventiquattr’ore prima erano ora l’una nella bocca dell’altro?
Andai verso sud. Non c’è niente di niente da quelle parti tranne l’umidità, le zanzare d’estate e, in quella notte d’inverno, un’ovatta ripugnante nell’aria.
Chi l’ha detto che la nebbia è bianca? È giallastra piuttosto, laddove pulsa al bagliore dei lampioni. Altrimenti è scura. Ed è sempre densa. Provate voi a illuminarla la nebbia. C’era caso di cadere in quell’acqua fredda e nera, che sentivo scorrere al mio fianco senza vederla, come un cane al passo, e nessuno se ne sarebbe accorto.
Arrivai al luogo chiamato Conca Fallata. Un ponticello sospeso nel nulla.
Fu lì che trovai un libro di vera magia.
Ci cozzai contro con il piede. Se urlai, non c’era nessuno che mi ascoltasse.
Sentii al tatto, più che vederla, una cassetta di ferro pesante. L’indice e il pollice si fermarono su un arco più liscio e freddo del resto del metallo. Lo sfiorai appena, senza chiave, e subito scattò.
Al suo interno, un quadernetto con niente di speciale. Sembrava un Moleskine nero con la copertina in cuoio. Se non che quel nero non poteva essere così intenso. Non quella sera. Non con quella nebbia nebbia.
Lo aprii. Anche le pagine erano nere. Vuote.
Provai il desiderio di buttarlo giù, nell’acqua, che me ne fregava dopotutto. Quando un pensiero mi attraversò la testa. I diavoli s’incontrano agli incroci.
Sulle pagine cominciarono a delinearsi… o meglio, a farsi strada parole, come vergate sul momento. Con l’acido. Parole verdi e chiare, lucenti com’era lucente quel nero che faceva loro da sfondo: Capitolo Uno. Esercizi d’immaginazione.
E io immaginai. Oh se immaginai!
 
Stamattina ho acceso la tele sul notiziario locale. Non so bene neanch’io come sono tornato a casa. Un cerchio alla testa come per una sbronza. Un pensiero: Ma non ho toccato alcool.
La notizia fatica ad entrarmi in testa. Due corpi trovati nel Naviglio, incastrati nei pressi della Darsena. Impalati su tubi di alluminio. Gli inquirenti ipotizzano che stessero andando insieme in bici, lui sul sellino e lei sulla canna. Giovani. Probabilmente innamorati. Forse avevano bevuto troppo. Forse un bacio appassionato. Forse la nebbia.
Il mio migliore amico e l’olandesina non erano più il mio problema.
Il mio problema, ora, erano quelle pagine nere, ancora più minacciose alla luce del giorno, poggiate sul piano della cucina, vicino al caffè, con una chiara scritta verde acido nel mezzo: Capitolo Due. Le conseguenze.