Dolci segreti della signora Dostel

– «Dunque è così che andò? Davvero?»
 
Quando ero riuscito finalmente a raggiungerla, la signora Dostal aveva acconsentito a rispondere alle mie domande, concedendomi un’intervista, a patto che non interferissi con la sua attività di rievocazione storica: la pasticceria del giorno dell’Epifania. E adesso eccomi lì, seduto oltre il vetro, a vederla trafficare in quella che lei chiamava “cucina”.
Più di lei, in realtà, i suoi robot erano in piena attività. Il frullatore sminuzzava senza sosta mandorle e noci di acasù (molto simili alle noci di acagiù, ma con una maggiore capacità di adattamento all’ambiente) mentre un drone svolazzava trasportando rapé di cocco da un capo all’altro del tavolo, dove un piccolo robot, simile agli i-roomba delle robo-fiabe per bambini, portando sulla testa una scodella di datteri e un vasetto di cannella, cercava di andare al ritmo della sua squadra.
“DoubleDabliu!”, il timer dell’essiccatore era il principale supervisor di tutto questo ambaradan e il povero i-roomba era stremato: per questo rimbotto quasi aveva rovesciato la cannella e, accesa la spia del pianto, si accostò. Si sentiva molto triste, ma la signora Dostal, prendendo le sue difese, redarguì il timer: «Willie Wonka è sensibile!»
Ancora non ci credevo, davanti ai miei occhi, davvero, tutta questa meraviglia: ero nello storico atelier nato nel XXI secolo le cui tecniche alimentari erano state conservate inalterate fino al 2222, cioè fino ai giorni nostri.
La conversazione con la signora Dostal stava andando in maniera completamente differente da quel che avevo pronosticato, e io mi sentivo totalmente impacciato, tra tutti quei robot d’epoca, della cui esistenza avevo a malapena una vaga idea, figlia dei libri di storia della robotica antica. Da quanti anni non venivano più prodotti gli i-roomba? Centoventi? Centotrenta?
Cercai di attirare nuovamente l’attenzione della signora Dostal mandando una piccola onda di interferenza che lei captò. Mi rispose con messaggio di testo nel mio visore: «WaM-IkS» che nella lingua di interscambio culturale significa «Wait a Moment – Ich komme Sofort».
Pazientai, perché il gioco valeva l’attesa. Il progetto a cui stavo lavorando era un progetto ambizioso, che mi era costato fatica e sudore, una vera rarità per gli anni 2220: intendevo convincere la popolazione umana che se negli anni 2020-2030 l’opinione pubblica si fosse lasciata sensibilizzare nella direzione della decrescita, allora non sarebbe stato necessario abbandonare il pianeta in fretta e furia nel decennio successivo, iniziando lo scontro galattico che ci aveva portato ad essere una minoranza (pacifica ed integrata, ma pur sempre una minoranza) su quello stesso pianeta dove ci trovavamo adesso, dopo vari maldestri tentativi di conquista repressi nel sangue – dove avevamo trovato popolazioni civili come noi- o nel contenimento, laddove avevamo trovato esseri più civili di noi. Per regolamento, però, ancora non possiamo riprodurci liberamente o ottenere l’indipendenza senza aver superato il test di civiltà comprendente le materie basi della convivenza intergalattica: buonsenso, civiltà dell’integrazione, educazione interculturale, comprensione dell’attendibilità delle fonti e soprattutto diritto e pratica ambientale. Siamo l’unico popolo sottoposto a questo dovere, perché siamo l’unico popolo che ha distrutto il suo pianeta negli ultimi 2 milioni di anni. Il test è a sorpresa, una sola volta nel corso della vita.
 
«Non ho capito, è un sì o un no?»
Mi ero distratto mentre il sintetizzatore della signora Dostal mi chiedeva se volevo saggiare; Imperdonabile distrazione. Mentre annuivo, l’essiccatore allungava verso di me un braccio estensibile con un vassoio di crudotteri.
Non avevo mai mangiato in vita mia nulla di così buono. In verità non avevo mai mangiato cibo organico in vita mia.
– «Ma quindi è questo quello a cui abbiamo rinunciato?»
«Vorrei poterti dire di no, ma… Hai presente quanto sarebbe stato più semplice?»
– «Non saprei, io la Terra non l’ho mai toccata.»
«Vorrei poterti dire lo stesso. Era qualcosa che non si può descrivere.»
– «La prego, mi faccia capire!»
«…»
La signora Dostal sospirò lungamente e iniziò: «Hai presente le distese di verdemare qui? Sulla Terra avevamo delle cose simili, ma diverse, si chiamavano: ‘prati’ e ci si poteva camminare sopra, senza il timore di un mulinello sotto la superficie erbosa, perché appunto, sotto c’era la terra. Accanto alla terra c’erano distese di acqua, e sopra a tutto il cielo.. E c’erano gli animali. Animali veri, non risintetizzati: non si poteva parlare con loro aspettandosi una risposta nel visore, come gli animali artificiali. No, erano animali ‘difettosi’, incapaci di usare la tecnologia, ma avevano una cosa che i nostri non hanno. Alcuni la chiamavano ‘istinto’, io la chiamavo ‘anima.»
Lo sguardo grigio-azzurro della signora Dostal si era spostato verso destra, era come se guardasse in un mondo dove io non potevo entrare. Non c’era nulla nel punto in cui aveva fissato lo sguardo, ma potevo sentire dalle onde che mi stava mandando che tutto quello che mi stava raccontando, lei, nel suo ricordo lo stava vedendo. Ero irrequieto e affamato di sapere.
– «La prego, continui. Cosa è successo? È l’unica persona che può dirmi la Verità.»
«La Verità? Non ti basta la verità dei libri?»
– «Non sarei qui..»
I suoi occhi si posarono su di me. Uno sguardo dolce, ma severo.
«Saputo, non si torna indietro. Sia!»
La vecchina che avevo di fronte a me, avvizzita dei suoi oltre 200 anni si trasfigurò. Come infuocata prese a brillare, bagliori di un colore indescrivibile, arcobaleno. Si alzò dalla seduta, non aveva più forma umana, era bianca, rosa, olivastra. Era alta, bassa, enorme e minuscola. Cambiava viso, non espressione, e con quella che fino ad un istante prima era una mano mi toccò la fronte. Due dita livide come di morte, gelide e poi bollenti. Ho visto il Mediterraneo, non sapevo cosa fosse. Scarpe, una spiaggia. OpenArms. Un cretino con un parrucchino dire che l’emergenza climatica non esiste. Ho visto bambini morire, di fame o di diabete. Avrei voluto urlare, ma non ho saputo farlo. La signora Dostal mi mostrava due lunghe trecce e un cartello “Skolstrejk för klimatet”. Ho visto la terra avvelenarsi e morire. Brulla. Astronavi partire lasciando sulla superficie devastazione, ma anche tanti umani, vivi. Chissà se…
 
Sono caduto sul pavimento, bocconi, le mani spalancate, il viso contro la superficie. “BASTA!” potrei esser svenuto, o forse no.
Quando mi sono ripreso la signora Dostal era al suo posto.
 
«Stai bene? Stai meglio?»
– «Grazie, no veramente sto peggio.»
«Forse qualcosa si può ancora fare..»
– «Per la Terra?»
«No.»
L’ho guardata. Ho guardato attorno. Ho cercato tra le pieghe del suo viso e le ho detto:
– «Dunque è così che andò? Davvero?»
«Assolutamente sì, incredibile, vero?»
– «Ti prego insegnami cosa fare per non ripetere lo stesso errore.»
 
La signora Dostal sorrise e sul mio visore brillava un messaggio:
«Test superato»