Dove i numeri sono tutti uguali

La mamma allaccia gli alamari del mio cappottino rosa, poi strattona Knut per tenerlo sveglio. «Julia, tienilo sempre per mano,» mi carezza la guancia, «non lo lasciare mai.»
Prendo la mano di Knut, il suo pollice è bagnato di saliva.
Il piccolo Hans piange in braccio alla mamma. Speriamo che non lo dia a me: pesa tanto il piccolo Hans.
Usciamo di casa e scendiamo le scale. «Mamma,» indico la porta, «non chiudi con la chiave?»
«Non fa niente, tanto non torniamo più.»
«E il papà? Come farà a trovarci?»
«Julia, fai la brava!»
Si arrabbia sempre quando le chiedo di papà, perché lui è cattivo. Quando viene da noi porta l’avvocato, quello coi baffi neri, il vestito nero, la valigetta di cuoio nero e quei fogli così fitti di numeri che sembrano neri anche loro. Parlano di quei numeri incomprensibili che finiscono in ioni e in iardi, poi battono i pugni sul tavolo e urlano. Quei numeri devono essere tanto cattivi: quando ho chiesto alla maestra, lei mi ha spiegato che sono quelli dopo il mille, numeri grandi grandi.
La mamma cammina sul marciapiede con il piccolo Hans in braccio. La fiammella dei lampioni arde tra i vetri appannati e la luce del sole spunta dietro le case. Il cielo è tutto rosso, sembra che abbiano acceso un fornello in mezzo alle nuvole.
La maestra ci ha detto che il sole è come un grande fuoco, così grande che neanche i pompieri lo possono spegnere. Sono sicura che nemmeno se ci versassi ioni o iardi di secchi d’acqua riuscirei a spegnere quel fuoco. Chissà se anche il sole arde bruciando vecchie banconote da un marco, ma la mamma dice che in cielo i soldi non ci sono, e io le credo.
Il piccolo Hans non smette di piangere, sarà meglio che stia zitto sennò in paese si sveglieranno tutti. Knut tira su col naso, i suoi occhi azzurri fissano la mamma. «Dove andiamo?»
Lei sospira. «In stazione a prendere il treno.»
La sua gonna si trascina sulla strada senza far rumore. La seguo e sto attenta a non scivolare perché il marciapiede è tutto ricoperto di ghiaccio: mi ricorda il cuore gelido della regina d’inverno, nella fiaba del libro tutto rotto. Anche il papà ha il cuore di ghiaccio, perché non torna più a casa se non per parlare di quei numeri cattivi. Forse è per questo che andiamo via, così non dovremo più sentire quegli ioni e iardi che fanno piangere la mamma.
La stazione è vuota, non c’è nessuno seduto sulle panchine di ferro. Il cielo è rosso come le pignatte di rame che usiamo per cucinare il milchreis. La pancia mi brontola.
Knut mi tira la mano, i suoi occhi gocciolano lacrime. «Ho fame.»
Metto l’indice teso sopra le labbra. «Stai buono.»
Ieri per il riso abbiamo pagato un numero di marchi che finiva con iardi, la settimana prima il numero era diverso, ma la mamma dice che era più piccolo e che i numeri per comprare da mangiare diventano sempre più grandi. Non capisco perché ci siano così tanti numeri, fa paura che non finiscano mai di crescere.
Knut si siede su una panchina, raccoglie le gambe e nasconde il viso tra le ginocchia. I piedi mi fanno male ma rimango in piedi. Il sale sul pavimento scricchiola sotto le mie scarpette, spero non si rovinino.
 
Il treno è vicino, sputa fumo che sporca il cielo di rame con una patina di bruciato.
«Venite bambini, state vicino a me.»
La mamma ci tiene per mano, la seguiamo oltre il marciapiede e ci mettiamo in mezzo ai binari. Le rotaie vibrano così tanto che anche noi tremiamo tutti.
Il treno fischia un urlo. Un omino piccolo si sporge dalla locomotiva e agita le braccia verso di noi. Le ruote di ferro stridono e sprizzano scintille dalle rotaie.
Knut si nasconde sotto la gonna della mamma.
Lei ci stringe e piange, ma anche in lacrime è la mamma più bella di tutte.
Il piccolo Hans è felice, i suoi capelli dorati riverberano la luce rossa del fuoco del sole.
Chiudo gli occhi. Non devo aver paura, la mamma dice che in cielo i numeri sono tutti uguali e quelli in iardi non ci sono.
Io lo spero, quei numeri cattivi non voglio vederli mai più.