Eccessi

Il labirinto di alberi si alzava fino a sfiorare il cielo e un sorriso di luna sbucava tra le foglie verde pastello. Il Bianconiglio sbuffò una zaffata di fumo nero, il tabacco era molto meglio del narghilè del Brucaliffo. Il contorno della foresta era tutto sfocato, gli occhiali dovevano essergli caduti lungo il sentiero, ma non aveva tempo di preoccuparsene, doveva trovare quella stupida ragazzina. “Alice, vieni fuori. Non voglio farti nulla.” Una goccia scivolò da un ramo e gli centrò il naso. Agitò le vibrisse e si passò la zampina sul muso. “Mi stai facendo incazzare.”
Per quanto tempo lo aveva rincorso gridando: “Signor coniglio, aspetti.” Per poi spacciarsi per Marianna e intrufolarsi in casa sua. E non si era arresa nemmeno alla corte della Regina Rossa! Gli aveva ronzato intorno con l’unico scopo di irretirlo. Voleva che cedesse, che si innamorasse di lei.
Beh, ci era riuscita.
Con un po’ di coraggio liquido le aveva confessato i suoi sentimenti e lei se l’era data a gambe. “Non sei in te,” gli aveva detto.
E invece era in lui, molto più delle altre volte in cui si erano parlati, sempre di corsa, sempre in ritardo.
Si sfregò gli occhi arrossati, il sapore del gin gli intorpidiva la lingua. Tossì, ma si sforzò di tenere tutto dentro. Si appoggiò a un acero e tirò un’altra boccata di fumo denso. Era come avere una ciminiera nello stomaco che sbuffava su per la gola, ma almeno copriva il saporaccio che aveva in bocca. “Alice, cazzo, smettila di fare la preziosa.”
Era spaventata da lui? Impossibile, si approfittavano tutti della sua bontà, soprattutto quella stronza della Regina Rossa. Oh, ma era finita l’era del Bianconiglio bistrattato. Stavolta avrebbe ottenuto quello che voleva.
Un’ombra azzurra saettò tra i tronchi rinsecchiti: il vestitino di Alice!
Il Bianconiglio gettò il mozzicone e si mosse rapido sulle zampe posteriori. Il rumore delle scarpette riecheggiò nel sottobosco, sempre più vicino. Superò un faggio ed eccola lì. Le balzò sulla schiena. “Ti ho presa, finalmente.”
Alice cadde e sbatté il mento a terra.
“Ti voglio.” Il Bianconiglio protese le labbra. “Dammi un bacio, dai. Che ti costa?”
“Aiuto!” Alice lo scalciò via e fuggì, inghiottita dalle ombre.
Il Bianconiglio si drizzò a sedere e si levò il fango dal panciotto. Oh no, l’orologio! Se glielo aveva rotto… Si affrettò a controllare: il quadrante era fracassato nel mezzo. “Cazzo!”
Questa l’avrebbe pagata.
Annusò il terreno, era certo che lì da qualche parte crescessero dei funghetti. Seguì l’aroma e scostò delle foglie rossicce. “Vi ho trovati.”
Prese un morso e un fremito gli risalì la schiena, come se un migliaio di formiche si stessero arrampicando sulla sua pelliccia candida. Le zampe prudevano, il ventre prudeva e anche il collo e il muso.
Il corpo cominciò a crescere, prima di pochi centimetri, poi di botto triplicò la sua stazza e in un istante era dieci, anzi, cento volte più grande di prima. “Ora dove ti nasconderai, Alice?” La voce riecheggiò come il fragore di un tuono.
Non si era mai sentito così bene, così potente!
Balzò a sinistra e schiacciò un paio di alberi secolari sotto la zampa. Si rovesciò sulla schiena e i tronchi gli solleticarono la pelliccia. Di più, voleva di più! Il fungo era ancora stretto nel suo pugno. Se lo lanciò in bocca e inghiottì.
Il fremito ricominciò.
Sì! Sarebbe diventato più grande dell’intera Wonderland!
In un istante il suo corpo rimpicciolì. Una goccia d’acqua caduta da un trifoglio rischiò di annegarlo.
Cos’era successo? Ma certo, un lato faceva ingrandire, l’altro rimpicciolire, che idiota.
La terra stava tremando o gli girava la testa? Il gin saliva e scendeva in gola.
Alice, con il mento ferito e sporco di terra, oscurò la luce della luna. Lo sollevò con due dita e se lo avvicinò al viso. Si tappò il naso e storse la bocca. “Il Cappellaio dovrebbe nascondere meglio il suo gin, ma anche lei, signor Coniglio…”
Il Bianconiglio abbassò lo sguardo. Non aveva giustificazioni, come aveva potuto comportarsi in maniera tanto bestiale?