Gengivette sdentate

Papà è curvo sulla sua scrivania al centro della biblioteca, la mano raggrinzita si alza a fatica. «Va’ ora, e non deludermi.» La voce è un flebile suono che mi ricorda il frusciare delle foglie secche.
Scendo la scala della torre, l’odore di muffa e di acqua stantia mi fa’ venire le vertigini. Il cortile è ingombro di rami e di rovi, le statue ricoperte di muschio. Accendo una torcia, il barlume illumina le pareti del castello con luce tremula. Prendo un respiro profondo e alzo lo sguardo al cielo, le stelle brillano nella loro fredda danza. Prendo la polvere d’oro dal sacchetto e traccio il cerchio sulla nuda terra. Il cuore mi batte forte, non posso sbagliare o il rito non avrà successo: devo riprodurre il cerchio nei minimi particolari, proprio come me l’ha insegnato papà.
Correggo gli ultimi contorni con la punta dell’indice, la luce magica si accende. Sta funzionando! Le ombre si allungano in tutte le direzioni, ora devo solo aspettare!
Mi siedo per terra, le dita nere escono dalla terra e si stirano oltre le mura del castello. Perfetto, fin’ora tutto bene, ma sono stanco, i miei occhi si fanno pesanti, non sarà di certo un problema se riposo un momento.
 
Mi sveglia il primo vagito, apro gli occhi e lo vedo. Il neonato galleggia nell’aria, sopra a un filo d’ombra. Si dirige verso di me, non devo fare altro che allungare le braccia. Lo prendo: è caldo, e morbido!
Mi sorride con gengivette sdentate, una morsa di ghiaccio mi stringe lo stomaco.
Traccio sulla sua fronte il segno mistico col dito tremante, il bambino si addormenta. L’alba inizia a colorare il cielo di rame, devo fare alla svelta. Il mio cuore batte forte, con mano tremanti scavo un buco e ci adagio il corpino inerme. Dorme, l’innocente. Stringo i denti e mi asciugo una lacrima, poi mucchio dopo mucchio copro tutto.
Per un attimo ho il timore che la terra si smuova, mossa dal bambino che si agita sotto, ma so che è impossibile: la vita l’ha già abbandonato.
Piango ancora, il cuore mi batte forte.
Il sole è ormai sorto e le ombre sono sparite, ma il seme è piantato e, fra alcuni anni, le nuove ombre saranno cresciute e potremo rifare tutto da capo.
Mi asciugo le lacrime con la manica della camicia. Il rito ha avuto successo: le sterpaglie sono sparite, le statue sono di marmo splendente, il castello brilla della sua antica gloria… ma non riesco a togliermi dalla testa quelle gengivette sdentate che mi sorridono nel buio.
Risalgo le scale della torre, in biblioteca papà gira le pagine di un libro, la sua pelle è lucida come quella di una statua di bronzo e la sua barba bionda come quella di un re. «Papà, tutto è compiuto.»
«Nulla da eccepire, sei un bravo stregone.»
Sorrido, il fiato non mi esce. Devo fargli la domanda, oppure non potrò andare avanti. «Mi chiedevo, come si fa a sopportare l’idea di aver ucciso un innocente?»
Il papà alza lo sguardo, i suoi occhi non hanno traccia di bianco, ma sono tutti neri come l’ombra che ho visto serpeggiare stanotte. «Lo capirai quando sarai più grande.»