Il soldato Duecentocinquanta

– Soldato Centoventidue, hai già fatto il conto delle perdite?
– Sissignore. Sono trentanove soldati semplici e due capitani.
Il colonnello Redant si grattò il capo. Guardò i corpi senza vita davanti a lui, immersi in una densa fanghiglia. Nessuno aveva ancora provveduto a portarli via.
– Lasciateli là, come sempre. La natura farà il resto.
– Signorsì, signore.
– Stavolta è andata bene. Qualche giorno fa le perdite sono state più ingenti.
– Settantasei soldati semplici, signore.
– Settantasei… Porca miseria, soldato Centoventidue.
– Sono tanti, sì.
Lo sguardo di Redant si volse verso il cielo, di un azzurro terso e luminoso. Non trovava le parole giuste e sembrava cercare ispirazione in un punto di fuga.
– Qual è il tuo nome, Centoventidue?
– Messor, signore.
– Da quanto sei con noi?
– Tre settimane.
– Non è molto, ma non è nemmeno poco. Hai fatto un buon addestramento, mi sembri sveglio.
– Grazie, signore.
– Eri presente quando morirono i settantasei soldati semplici?
– Sissignore.
– La dinamica è stata la stessa di oggi, immagino…
– Il sole si è oscurato, ho sentito un grande boato e poi la terra ha tremato.
– Impronte?
Messor fece uno sforzo di memoria: – Sì, ce n’erano. Sul terreno sono rimaste impresse tante tracce simili, parallele tra loro.
– Il doppio simbolo?
– Lo abbiamo rilevato, quando abbiamo subito la perdita precedente.
– Lo ricordi? Sapresti riprodurlo?
Il soldato disegnò due segni sulla sabbia.
– 44. Corretto?
– Affermativo, signore.
– E questa volta?
Messor si guardò in giro e lo individuò, stampato nel fango.
– Eccolo, signore: è un 31.
– E questo significa…?
– Stiamo studiando il fenomeno. Sembra che il numero di morti del nostro esercito sia in stretta correlazione. E anche la scossa tellurica è stata più lieve.
Senza badare troppo a Messor, Redant cominciò a girare in tondo una, due, più volte. Allargò il suo percorso e ispezionò qualche corpo, constatandone l’integrale schiacciamento. Poi raccolse un chicco di grano da terra.
– Centoventidue, anzi no, scusami… Messor, giusto? Ecco… sai quanto è importante il grano. Non possiamo mollare. Tu sai che per noi l’organizzazione è tutto.
– Certo, signore.
– Bene. Dobbiamo allertare le nostre sentinelle. Far scattare prima l’allarme generale. Quando arriverà la prossima arma dal cielo per colpirci, non possiamo farci trovare impreparati.
– Come possiamo fare?
– Correre velocemente nei cunicoli sotterranei, là saremo al sicuro. Ora non riusciamo a difenderci in modo più efficace. E non sappiamo se mai ci riusciremo.
A interromperli sopraggiunse un capitano.
– Colonnello Redant, noi siamo pronti per la nuova missione.
– Molto bene, Lasius. Avete autonomia operativa.
– Colonnello, mi scusi.
– Dimmi, Messor.
– Fra i morti ho riconosciuto il soldato Duecentocinquanta. Eravamo diventati amici: posso chiederle di tumularlo nei sotterranei?
– Permesso accordato, Messor.
Si lasciarono. Messor raggiunse la sagoma piatta di Duecentocinquanta, se la caricò addosso e la trascinò a fatica dentro il formicaio.