Il vecchio pazzo

I tendaggi tesi sopra al bazar proiettavano ombre sulla sabbia bollente. Rashid strinse al petto il sacchetto e si infilò tra due bancarelle affiancate. Il profumo di shawarma gli aprì una voragine nello stomaco. Da quanto tempo non mangiava carne? Una volta ricevuto il suo compenso dal vecchio pazzo, si sarebbe riempito la pancia tanto da scoppiare. Schivò una donna impegnata a contrattare per una manciata di datteri e passò sotto le zampe di un cammello drappeggiato di tessuti costosi.
Il grasso mercante agitò il pugno nella sua direzione. “Guarda dove vai, ragazzino!”
Rashid svoltò nel vicolo a destra. Si levò il sudore dagli occhi e salì i pochi gradini fino alla porta della casa. “Abdul, ci sei? Posso entrare?”
Un colpo di tosse e uno sputo.
Rashid spinse l’uscio. L’interno era immerso nel buio. Un brivido gli rizzò i pochi peli sulle braccia. “Questo freddo non ti fa bene.” Si avvicinò alla finestra e scostò il telo nero che la copriva. Il calore gli bagnò la pelle.
“Che tu sia maledetto, ragazzino!” Il vecchio si schermò gli occhi con la mano, rincagnato in un angolo, inzuppato in una pozza del suo stesso piscio. Possibile fosse dimagrito ancora? La tunica gli cadeva sulle spalle come a uno scheletro.
“Hai mangiato oggi?” Rashid spalancò tutte le finestre e la luce illuminò la stanza: le sedie e il tavolo fracassati, i frammenti di coccio e il cibo smangiucchiato vicino alla parete, il muro macchiato dalla polpa di un caco. Il vecchio doveva aver dato di matto. Di nuovo. “Che è successo stavolta? Altri tentacoli d’ombra?” Gli dava i brividi quando delirava dei suoi incubi. Voci nella notte che lo chiamavano dal deserto. Esseri deformi che gli facevano visita durante la veglia. Scricchiolii di ossa che gli impedivano di chiudere gli occhi e riposare. Ma erano solo frutto della sua follia.
Era rimasto solo Rashid a prendersi cura di lui, poveraccio.
Il vecchio sollevò il tomo rilegato e se lo appoggiò sulla coscia. “Hai portato quello che ti ho chiesto?”
Lui gli porse il sacchetto. Le dita nodose e secche erano sul punto di spezzarsi, come faceva ancora a scrivere?
Abdul estrasse la boccetta dal sacchetto e intinse l’ossicino ricurvo nell’inchiostro. Aprì il libro e cominciò a tracciare i suoi svolazzi incomprensibili. Gli erano rimasti gli ultimi fogli da riempire. Chissà cosa scriveva in quelle pagine ingiallite.
Rashid si chinò a raccogliere i cocci. Non voleva si facesse male camminandoci sopra, con la sabbia la ferita si sarebbe infettata subito.
Il vecchio si spinse in piedi e lo fissò. I suoi occhi naufragavano nel terrore. “Devi andartene subito.”
E ora che gli prendeva? “Sistemo questo disordine e poi vado.”
“Ho detto ora!” Abdul incassò la testa nelle spalle e si voltò con gli occhi puntati nel buio. “Lascialo stare, lui non ne sa niente.”
Con chi stava parlando?
Un ronzio insistente riempì la stanza, un nugolo di insetti lo investì. Mosche nere gli riempirono la bocca e le narici. Abdul crollò a terra, il corpo scosso dagli spasmi.
Rashid si trascinò verso l’uscita. Ya Allah, che cosa…?!
Abdul tese il dito verso il libro e dall’angolo dell’occhio sbucò fuori un moscone ricoperto di sangue.
Rashid avrebbe potuto raggiungere il tomo, gli sarebbe bastato allungare il braccio, se solo avesse trovato il coraggio.
Ma non poteva deludere quel vecchio pazzo.
Si gettò sul libro e se lo strinse al petto. Il ronzio degli insetti si acuì, gli scoppiavano i timpani.
Sfondò con una spallata la porta e rotolò giù per i gradini fino ai piedi del mercante di tessuti. “Ancora tu, ragazzino?”
Rashid balzò in piedi e corsa verso l’uscita del bazar di Damasco.
Incespicò su una roccia e crollò con la faccia nella sabbia. Il libro non si era fatto nulla, spazzò la copertina e la scritta ‘Al Azif’ luccicò sotto al sole.
Non aveva idea di cosa stesse stringendo tra le mani, ma se ne sarebbe preso cura lui.
Lo avrebbe fatto per il vecchio Abdul Alhazred.