La parte giusta del muro

Avevo caldo, per quanto nel fitto di quegli alberi altissimi fossimo riparati dal sole, camminare mi aveva fatto sudare.
«Nonno, manca molto?»
Lui mi aspettò e appena gli fui accanto mi scompigliò i capelli.
«Hai ancora le gambe più corte delle mie!»
Era vero, a dodici anni ero ancora venti centimetri buoni più basso di lui. Mi mise un braccio sulle spalle e continuammo con un passo meno sostenuto.
«Dovremmo essere quasi arrivati sai?» Lo disse con un tono che non suonava convinto. «L’ultima volta che sono stato qui non eri ancora nato» aggiunse, quasi a volersi giustificare. Non seguivamo una strada o un sentiero, non ce n’erano che portassero dove eravamo diretti. Così aveva spiegato mio nonno con fare misterioso, senza rivelare altro.
Andammo avanti per un po’… In principio vidi solo un cambiamento nel bosco, che in lontananza sembrava meno scuro, poi la luminescenza fu evidente.
Ci fermammo e guardai mio nonno.
«Siamo arrivati» disse. Mi prese per mano e avanzammo lentamente, fermandoci a una decina di metri da quella roba.
«Guarda» disse, indicando il muro levigato e azzurrognolo che saliva su fin quasi alle cime degli alberi. Guardai, seguii la linea di quel muro fin dove potevo. Verso l’alto si allontanava dai tronchi e verso destra e sinistra sembrava curvare.
«È una cupola?»
Lui scosse la testa, poi annuì.
«È una cupola, sì.»
Non disse nulla per un po’, ma alla fine si riprese, mi fissò per qualche secondo, poi distolse lo sguardo da me e lo puntò verso la cupola.
«Questa storia non viene raccontata, hanno voluto dimenticarla. Cancellarla. Ma la nostra famiglia era contraria, la prima e la seconda volta, alle due vergogne dell’umanità. Così dobbiamo ricordare e tramandare.»
Fece una pausa.
«Cosa ti hanno insegnato a scuola sul fungo?»
Scrollai le spalle, era una domanda facile.
«È il nostro simbionte mutuale, grazie a lui siamo immuni dalle infezioni batteriche e virali. Ci permette di vivere molto a lungo perché rallenta il nostro ciclo metabolico… insomma, una gran bella roba.»
Volevo alleggerire l’umore cupo del nonno, ma lui non rise e anzi accennò una smorfia.
«È vero, fa tutto questo» disse «e procura alla nostra pelle questo simpatico colorito blu… ma non è sempre stato così.» Indicò il muro. «Questa cupola…»
Si girò verso di me e mi mise le mani sulle spalle, fissandomi negli occhi.
«Un tempo, secoli fa, quando comparve il fungo… una mutazione si pensa, un esperimento dicono altri, ma non importa. Quando comparve e cominciò a diffondersi tra gli uomini, la gente si ammalava e moriva nel giro di qualche giorno o settimana, o mese. Cercarono di combatterlo in ogni modo, e alla fine trovarono una cura, ma non c’erano risorse nè tempo per produrre il medicinale in quantità rilevanti, e allora…»
Fece cenno verso la cupola.
«Quelli che avevano maggior potere utilizzarono le poche dosi che avevano potuto produrre per avere il tempo di costruire cupole come questa e vi si rifugiarono. Poche migliaia di persone»
Guardai la cupola dubbioso. «Sono ancora lì dentro?»
Non rispose.
«Avevano capito che il fungo ha bisogno dell’uomo per riprodursi. E il fungo avrebbe sterminato l’intera popolazione. Avevano calcolato che sarebbe bastato loro rimanere al sicuro nelle cupole fino a quando il fungo non fosse scomparso insieme all’ultimo degli uomini all’esterno delle cupole.»
Lo guardai smarrito.
«Capisci? La prima vergogna.»
Scossi la testa. «Ma noi…»
«Ma alcuni infettati sopravvissero. Pochissimi, i nostri avi. Per loro, come per noi, il fungo non era letale, al contrario, un perfetto simbionte mutuale. Tuttavia tutti gli altri, miliardi di persone, morirono nel giro di una manciata di mesi.»
Guardai la cupola.
«Bastardi… E loro?»
Nonno avanzò fino a un passo soltanto dal muro. Vi poggiò i palmi.
«Loro attesero.» Scosse la testa. «Attesero e attesero che il fungo scomparisse insieme agli ultimi esseri umani, ma il fungo e gli umani non scomparvero.»
«Quando uno dei nostri scoprì i meccanismi che rendevano possibile la convivenza di uomo e fungo avremmo potuto ancora salvarli. I nostri capi votarono… sembrò loro naturale lasciarli morire. La seconda vergogna.»
Si voltò verso di me, serio.
«Ricorda e tramanda: Non c’è la parte giusta del muro, né un nemico oltre quello.»
Scosse la testa deciso.
«Non c’è.»