L’unica superstite

Fuga da un incubo in questo racconto di Massimo Tivoli, secondo classificato nella 119° Edizione di Minuti Contati.

 
Mia corre, inciampa, cade ginocchioni. Ma la corsa del cuore non si arresta.
Affonda le mani in un miscuglio di terra e carbone. Ogni fumata forma un pulviscolo cancerogeno che sembra assumere la forma di un artiglio.
Sente gli occhi svuotarsi di lacrime, ma nessuna goccia s’infrange sul terreno. Vengono tutte assorbite dal fondotinta di fango e sangue.
Alza lo sguardo al cielo, e gli viene voglia di affondarci le mani, se non fosse per quella falce di luce che trafigge la coltre di nuvole nere.
Tutt’intorno, dietro lo scheletro carbonizzato dei palazzi, inizia a sentirli. Grugniti. E tuffi di saliva sulle lingue di asfalto che ancora resistono.
Si alza. Corre. Si volta a destra, a sinistra, dietro. Solo nero.
I grugniti aumentano. La terra vibra a ogni passo.
La falce luminosa squarcia il manto delle tenebre che la sovrastano, inseguendola. Le gambe tremano.
Scorge una voragine tra le crepe di quella terra martoriata. Non c’è tempo per capire quanto è profonda, dove termina. La falce la lambisce e, a giudicare dalle staffilate di saliva dietro la schiena, stanno per saltarle addosso.
Si tuffa, e prega. Che la caduta non si fermi, di raggiungere l’inferno. Ma i talloni toccano terra, si spaccano, e le ginocchia si piegano, e così la schiena, e sbatte il culo per terra, e il dolore e la disperazione sono così forti che la bocca si spalanca in un urlo sordo.
No. Purtroppo non è l’inferno. Il cuore batte ancora.
E loro la cercano, e non la uccideranno.