Naga

Entrai con cautela nell’appartamento. Odore di sigarette, polvere, una patina sul pavimento che incollava le suole. Avrei voluto spalancare le finestre, far entrare la luce del sole, smuovere quello stagno di aria e umidità; ma non potevo modificare lo scenario. Con il mio lavoro, il ribrezzo è un lusso che non mi posso permettere.
L’angolo cottura era invaso dai piatti unti. Forse S. aveva visto uno scarafaggio gigante. O una palla di muffa.
Aprii il rubinetto del lavandino e la lasciai scorrere. Attesi alcuni minuti, non accadde niente. Calma, andiamo avanti.
Senza dare le spalle all’acqua che continuava a fluire, mi avvicinai alla porta aperta sulla sinistra. Accesi la luce e sbirciai all’interno: il letto sfatto, la televisione, jeans e magliette ammonticchiate in un angolo. Scivolai verso la porta del bagno. Il lucernaio illuminava i sanitari giallastri. Con la punta del piede aprii l’acqua del bidet, poi quella della vasca da bagno. Inspirai profondamente e, con un ginocchio, spalancai l’asse del water. Un’esplosione di acqua putrida mi gettò indietro, caddi a sedere e chiusi gli occhi per il dolore. Quando li riaprii, in un baluginio di squame c’erano zanne, artigli, occhi. E pregai di non essermi sbagliata.
 
S. era arrivato in studio la mattina, si era seduto sulla poltroncina, si era acceso una sigaretta e mi aveva rivolto un sorriso che credo ritenesse irresistibile.
“Tu saresti l’esperta. Non si direbbe.”
Già, nessuno si aspettava una donna di mezz’età, con gli occhiali e la giacca di tweed.
“Eppure.”
Si guardò intorno, appena meno spavaldo.
“Non mi crederai. E poi, cosa puoi fare tu?”
Si aspettava un eroe della Marvel e aveva trovato me. Capivo la perplessità.
“Mi racconti tutto.”
Non aspettava altro.
“Io non ho paura di niente. Ma quello è un cazzo di mostro, capito? Da film. Io mi stavo facendo la barba. E mi è venuto incontro, strisciando e sibilando e sbavando.”
“E lei?”
“Cosa dovevo fare? Sono corso via, in mutande, con la schiuma in faccia. Sono andato al terzo piano, c’è una tipa. Adesso sto a casa con lei.”
“State insieme?”
“E’ una che mi faccio. Mi piace di più l’indianina del quarto.”
“Indianina?”
“Sì, viene da quelle parti lì. Bangladesh, Pakistan, boh. Fighissima, mora, con gli occhioni enormi. Puzza un po’ di curry.”
“Avete una relazione?”
“Non ancora, fa la difficile, ma è questione di giorni. Un giorno, in ascensore l’ho messa in un angolo e ci stava, poi è salito il vecchio del secondo piano con la spesa. Lei è scappata. Ma prima o poi la ribecco da sola. Gliel’ho anche detto.”
 
La creatura sibilava, le spire in continuo movimento.
“Sei un Naga.”
I grandi occhi gialli si fecero attenti, l’espressione del rettile parve cambiare.
“Sei qui per la tua protetta vero? Hai fatto un lungo viaggio.”
Lo immaginai percorrere chilometri sotterranei, fra sorgenti e canali, fiumi e fogne, richiamato dalla paura e dallo smarrimento.
Allungai una mano e sfiorai le squame iridate.
“Bravo, fai il tuo dovere.”
Il grande serpente inclinò il capo e si rituffò con grazia nell’acqua del water.
Io chiusi l’asse, raccolsi con due dita gli occhiali rotolati sotto il bidet e me ne andai.