O Felix Culpa

Il tunnel nella roccia è stretto da graffiare le spalle, stretto che persino un’asina senza zampe farebbe prima di me a fare così poca strada.
Però non mi vede nessuno. Solo i miei fratelli, Emanuel e Cael, all’ingresso, sanno dove mi trovo.
Ah, le cose che facciamo per un po’ di oro.
Il tunnel finisce, sulla parete nuda ci sono ancora i segni lasciati dagli scalpelli di quelli che l’hanno scavato. Mio padre e mio nonno.
Sfioro in alto, lungo bordi regolari di una pietra che prende il posto della roccia. L’ingresso che quei furfanti della mia famiglia usano da generazioni a ogni nuovo “ospite”.
Se fossi qui tu, sottoterra al posto mio, al buio, moriresti di paura. Ma io faccio questo lavoro da quando ho la forza per alzare la pietra.
Il trucco è mettersi di schiena e spingere come se quella pietra la volessi allontanare da te. La sabbia scricchiola nell’intercapedine, quando si muove, e poi basta dare un po’ di spinta in diagonale, per tenerla fuori dall’incavo. A quel punto il gioco è fatto e basta farla scorrere via.
È così che entro nella tomba ogni volta.
Il sepolcro è umido, carico dell’odore degli oli funebri.
La pietra sull’ingresso lascia filtrare un po’ di luce, illumina le nicchie scavate nella roccia. Una sola nicchia è occupata, un sudario nasconde l’occupante.
Ah, le cose che facciamo per un po’ di oro. Saccheggiare persino le tombe fresche.
Scopro il velo. L’uomo è come ce ne sono tanti, mi somiglia persino. Fosse ancora vivo magari ci avrebbero scambiati. Ma il suo viso è ormai quello di un morto, pallido come tutti i morti, solo che il suo è un viso più famoso. E speriamo anche più ricco.
Appena lo tocco alla ricerca di qualcosa d’oro, un boato esplode, la terra si scuote.
Un terremoto? Un altro a così breve tempo dall’ultimo?
Ruggisce il fragore di cose che crollano.
Il rumore di tunnel che collassano.
«Tiratemi fuori di qui per carità!» urlo al foro nel terreno.
Per risposta arriva il suono di pietre smosse, detrito che si assesta. Segue un breve silenzio rotto dalla voce di Cael, «Non riusciamo, non c’è più il passaggio.»
«Spostate quell’accidente di pietra all’ingresso allora, e tiratemi fuori!»
«Ma se ci scoprono—»
«Tiratemi fuori. Tiratemi! Fuori!»
Altro suono di detrito che riempie gli ultimi spazi vuoti.
«Va bene,» echeggia la voce di Emanuel dal tunnel, «ma smettila di urlare.»
Rimetto a posto la pietra di ingresso al tunnel, sigillandolo per sempre.
La luce che entra nel sepolcro adesso è più intensa. Ma adesso illumina un cono di massi, il residuo collassato di quello che era un fianco del sepolcro. Anche il morto è finito sotto il tumulo, protetto per sempre da mani rapaci. «Accidenti,» dico in direzione della parete franata, «nemmeno da morto ti lasciano in pace a te.»
«Ehi, Isaiah, ci sei?» bisbiglia Cael da una fessura all’ingresso.
Mi avvicino, «sbrigatevi.»
Emanuel e Cael, li sento imprecare mentre infilano qualcosa sotto la roccia. Poi altre imprecazioni. Alla fine la pietra rotola, scivola di lato quel tanto che basta per uscire. La luce inonda il sepolcro, luce di un’alba che sta diventando fin troppo mattutina per i gusti di un ladro.
«Aaaah!»
Urla di donne, lì fuori. Ci hanno scoperto.
Qualcuna urla, «che state facendo?»
Un’altra grida, «la tomba è aperta!»
E io esco. Accecato dal sole riconosco le sagome dei miei fratelli, impietriti, e altre sagome che strepitano e agitano le braccia.
Solo che appena esco tutte le donne si bloccano. Tre crollano in ginocchio. Con gli occhi che si adattano alla luce riesco a vedere che sono tutte coperte di veli, che portano il lutto.
Le altre due donne vengono verso di me. Una mi stringe la mano e se la porta alle labbra. La bacia.
L’altra infila la testa nell’ingresso della tomba, scruta, poi tremante fa un passo indietro e si gira verso tutti noi. Stringe il volto tra le mani, «è vuota… la tomba è vuota!»
La donna del bacio mi accarezza, mi accarezza con occhi gonfi di lacrime, come fossi un figlio perduto. «Oh Yeoshua,” singhiozza, «sei davvero il figlio di Dio.»
 
Di che stanno parlando questo branco di pazze? Non ne ho idea. Ma finché la cosa mi tiene alla larga dal cappio continuerò con la recita. Sarò qualsiasi cosa loro vorranno.
Ah, le cose che facciamo per restare vivi.