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La luce alla fine di un’utopia è sempre, terribilmente, oscura. Secondo classificato nel Capitolo del Camaleonte dedicato a J.C.Ballard, un racconto di Maurizio Bertino.

 
«I tempi hanno oramai decretato la fine del nostro attuale modo di vivere, serve un cambiamento e non possiamo attendere oltre. Da questa sera stessa ho deciso per la reintroduzione della pena capitale. Nessun lungo processo, nell’evidenza del reato essa godrà di immediata attuazione. Ordino che siate voi stessi, uomini e donne, a ergervi come esecutori. Ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, nel vostro animo, lo sapete. Ho fiducia nell’umanità. Possa la Terra perdonarmi per ciò che sto facendo e a lei mi rimetto, con immediata attuazione, ordinando la mia esecuzione, qui e ora. Voi siete innocenti perché chiamati a obbedire a me, il vostro sovrano. Il peccato è mio, mia la pena. Prendetevi qualche istanteo per raccogliervi e comprendere quanto da me detto e ordinato. Nel frattempo, mi preparerò al martirio».
 
Vittorio Emanuele Nuovo chiuse gli occhi e respirò a lungo, profondamente. Non poteva più tornare indietro, questo gli era chiaro. La sua vita intera segnata da anni di lotta per ottenere un impero unificato che abbracciasse l’intera superficie terrestre, l’utopia della perfezione, la fine delle disuguaglianze. Eppure, quello che gli era sembrato come la realizzazione del più grande dei sogni si era infine rivelato come la distruzione della speranza: etnie che desideravano il ritorno all’autonomia, popolazioni che pretendevano la redistribuzione delle ricchezze, corporazioni che pressavano insinuandosi in ogni dove per assicurarsi più privilegi. Per quanto si adoperasse, l’eco dei successi passati stava perdendosi e il suo potere andava affievolendosi. Con il tempo, le etnie avrebbero riottenuto l’indipendenza, i poveri avrebbero attaccato i ricchi e i potenti avrebbero riconquistato il potere frammentandosi per il potere. NON L’AVREBBE PERMESSO.
 
Herman Walsh era di fronte al suo terminale visivo e non sapeva cosa pensare. Aveva sempre considerato quell’autoproclamatosi Imperatore come una piaga. Vero, per arrivare al potere aveva dovuto macchiarsi di compromessi e chissà quante efferatezze e per un breve attimo aveva riflettuto sulla possibilità del rivalutare l’italiano medio. Del resto, mai avrebbe potuto immaginare che proprio uno di quei pidocchiosi esseri capaci solo di inseguire le banderuole più gonfiate dal vento sarebbe riuscito nell’impresa di dominare sul mondo intero. Eppure, una volta incoronato si era rammollito, con quel sorriso sempre stampato sulla faccia e quel fastidioso tono conciliante. Non sarebbe durato, la sua ascesa era stata un errore della Storia. Ecco, se mai avesse potuto proporre una mossa per il miglioramento della vita sulla Terra, quella sarebbe stata l’immediata pulizia etnica di ogni italiano, anche mezzosangue. Ce n’era una famiglia, nel suo quartiere. E quel direttore di posta che mai si riusciva a capire che volesse dire, con quel tono di voce sempre urlato. Sì, nella sua anima sapeva ciò che era giusto e ciò che era sbagliato e ora l’Imperatore, proprio un italiano, gli stava ordinando di fare giustizia e che lui stesso si sarebbe fatto carico dei suoi peccati. Sorrise, quel sovrano non era poi così tanto male.
 
Chalom tremava nel suo salotto senza riuscire a fermarsi, fuori controllo. Il cuore stava scoppiandogli nel petto, la mente vagava nell’illuminazione. Al momento dell’annuncio era seduto sul divano con la moglie Edna al fianco e i figli Ariel e David intenti nei loro giochi sul tappeto. Ora erano tutti e quattro inginocchiati di fronte allo schermo.
«Figli, moglie, osservate. Quest’uomo sta donando la propria vita per mondarci dai peccati. In cambio ci chiede di agire secondo coscienza e così noi faremo.»
Chalom non avrebbe mai immaginato di vivere un evento simile, anno zero di un futuro da scrivere, al cospetto di un santo in vita il cui ricordo sarebbe durato nei millenni a seguire. Da dove sarebbe partito? Certo, gli assassini andavano puniti e anche coloro che deliberatamente mettevano a rischio le vite altrui. Forse avrebbe dovuto estendere la pena ai rei di infrazioni stradali? No, quelli no, a meno che non fossero recidivi. L’infischiarsene reiteratamente delle primarie regole di comportamento, quello sì che poteva funzionare come metro di giudizio. E avrebbe dovuto costituire un comitato. No! Il messaggio di Vittorio Emanuele Nuovo era chiaro: ognuno avrebbe dovuto decidere per se stesso. Quindi anche sua moglie e i suoi figli avrebbero dovuto imparare a fare rispettare la giustizia, doveva istruirli… Ma se li avesse istruiti, li avrebbe vincolati al suo volere e non al loro e l’Imperatore esigeva il libero arbitrio, quello era chiaro. Ne conseguiva che la coesione sociale, il gruppo, soprattutto nella prima fase, non doveva essere perseguita, ma rifuggita. La ricerca doveva essere dei singoli e da singoli avrebbero dovuto operare. Non c’era altra via. Si sentì pervadere da un potente alito di libertà e con un sorriso rialzò lo sguardo verso il terminale visivo per assistere al sacro atto della liberazione dai futuri peccati.
 
Gao Qiang, nel suo garage, rifletteva sul proprio ruolo. Responsabile per il suo distretto, aveva assistito negli ultimi anni all’arrivo di molti occidentali alla ricerca di lavoro e di condizioni di vita più stabili rispetto a quelle cui potevano aspirare nella loro regione europea, oberata da un pluralismo etnico e culturale ai limiti del livello di guardia, frutto di una scellerata gestione della questione INTEGRAZIONE nei precedenti secoli. Neppure l’Imperatore, colui che era riuscito a riunire l’umanità intera sotto un unico vessillo, era riuscito a proporre una soluzione e, anzi, i suoi modi ossessivamente dediti alla salvaguardia della vita e della giustizia non avevano fatto altro che inasprire una situazione in divenire fino a farla deflagrare. I suoi ideali erano buoni e giusti, ma Qiang sapeva che non sempre il buono porta al bene, soprattutto quello collettivo. Era innegabile che l’aumento indiscriminato della popolazione del suo distretto stava inesorabilmente portando a una maggiore confusione sociale che si ripercuoteva nella confusione dei singoli, non più sicuri del proprio ruolo nel sistema. E Qiang non sopportava l’indeterminatezza. Certo, la presa di potere di un unico leader l’aveva, in un primo momento, rassicurato facendogli ben sperare per un maggiore ordine, aspettative presto disilluse. Come reagire, dunque, alla inaspettata decisione di Vittorio Emanuele Nuovo? Si era evidentemente arreso, incapace di gestire un problema più grande di qualsiasi volontà, aveva capito che era necessario farsi da parte e lasciare che fossero i singoli a imprimere una nuova direzione. No, non i singoli, ma singoli che si riunivano per difendere e organizzare il reciproco interesse, quello sì, non poteva essere altrimenti. Sì! Doveva essere quello il suo destino, non c’era dubbio alcuno! Della questione del peccato originale e del farsene carico da parte dell’Imperatore, di quello non gli importava. Il bene pubblico, ecco l’unico oggetto d’interesse. E ora, finalmente, poteva imporlo. Prese la propria arma e decise di recarsi prima da Xu Song e insieme a lui decidere chi altri reclutare. C’era da fare pulizia e sarebbero partiti dal quartiere inglese.
 
Gottfried, l’assistente dell’Imperatore, era confuso. Vittorio Emanuele Nuovo gli aveva appena ordinato di porre fine alla sua vita. Gli aveva sorriso, nel pronunciare la propria condanna a morte, e infine l’aveva rassicurato posandogli una mano sulla spalla.
«Ce la farai, è un ordine del tuo Imperatore».
Ma come poteva farcela, lui? Un semplice impiegato degli uffici imperiali dedito unicamente al compimento del proprio lavoro?
«Gottfried, è un mio ordine ed è il tuo lavoro. Scegli tu il modo, il come, i tempi. D’ora in avanti toccherà a voi.»
E gli aveva messo di fronte un martello e una pistola, gli aveva sorriso ed era tornato a voltarsi verso le telecamere.
«Eccoci, sto per lasciarvi. Ricordate le mie parole..»
Numeri, quelli conosceva. E protocolli, procedure, applicazione di regolamentazioni su altre regolamentazioni, implementazioni di leggi su leggi e altre leggi ancora, gestione delle dinamiche di concordato, mantenimento dell’equilibrio originato da ogni cambiamento. E ora il suo Imperatore, quest’uomo, questo Dio che stava per immolarsi per un ordine superiore che ancora non riusciva a comprendere, gli chiedeva di diventare egli stesso cambiamento, di agire, d’impugnare un’arma e cominciare a scolpire nella sua sacra carne prima e in quella di tutti i peccatori poi la giusta pena fino a liberare il mondo dall’errore.
«… Forse ora non tutti, tra voi, riescono a comprendere il perché delle mie ragioni, ma sono il vostro Imperatore e non sto abdicando, vi sto dando un preciso ordine, pagandone le conseguenze…»
Gottfried non lo ascoltava più. Mai in vita sua aveva pensato di trovarsi in una situazione simile. L’iter era chiaro: studio, lavoro, famiglia, morte e lui lo aveva percorso fino al lavoro, a breve la famiglia, a seguire la morte. Un battito, il suo cuore. Scegli tu il modo, il come, i tempi. Si accorse che ormai nessuno stava ascoltando l’Imperatore, tutti gli occhi e le aspettative erano concentrati su di lui, l’impiegato Gottfried. Un’ondata di paura lo travolse, seguita da uno tsunami di adrenalina.
«… e quindi non vi resta che adempiere alle mie richieste, non delud»
Sangue, sul martello. Un altro colpo e sangue in faccia, un altro ancora e quel corpo che smetteva di muoversi. Un urlo, Gottfried urlava, libero dai suoi vincoli, primo a oltrepassare la soglia dei senza peccato e mentre tutto intorno a lui i tecnici e i membri della corte si guardavano tra loro confusi sul da farsi, lui, discepolo scelto in persona dal Sacro Martire, decise di indicare la via lanciandosi contro il tecnico delle luci, reo, a suo avviso, di avere illuminato male la scena del supplizio finale.