Se mi mordi non vale

«Ho detto di no». Lui mi fissa ma non si muove. I suoi occhi hanno il colore dell’ambra liquida. Quasi mi perdo in quello sguardo ma non posso dimenticare il mio dovere.
«No» ripeto calma. Ci fronteggiamo, lui non cede. Io non cedo.
Non faccio in tempo a battere le ciglia. Mi è addosso. La lotta è a mio sfavore. Il contraccolpo mi ha buttato per terra e lui approfitta del momentaneo vantaggio per dare modo al suo peso e alla gravità di svolgere il loro compito. Non riesco a muovermi ma conosco il suo punto debole.
Affondo le dita nella carne morbida della pancia lui scarta di lato per evitare che io affondi di più la mano e riesco così a sottrarmi quel tanto che basta per riportare la situazione in mio favore. Carponi cerco di sfuggirgli ma lui non si dà per vinto. Mi afferra una caviglia e mi strattona. Penso al mio pantalone firmato e già sto per smadonnare. No. Anche questo no. Mi allungo verso di lui e un orecchio è alla mia portata, potrei afferrarlo e stritolarlo ma nel tempo che impiego a visualizzare l’azione mi ha di nuovo bloccata e stavolta si è buttato su di me con tanta veemenza da farmi uscire anche l’aria che non sapevo di avere nei polmoni.
«Avevo detto di no, brutto stronzone» sibilo mentre mi allungo per arraffare la prima cosa che posso. Il pavimento di solito è costellato da ogni sorta di oggetto. Tutti suoi ovviamente. Caos è il suo secondo nome. Tornado il soprannome. Sotto il divano vedo una specie di osso di plastica, mi allungo meglio che posso e con la punta delle unghie tento di farlo roteare nella mia direzione. Un centimetro dopo l’altro guadagno una presa migliore, intanto lui insiste nel saltarmi sopra come un wrestler più pazzo del solito, ma almeno con l’osso vinco io. Lo stringo come un trofeo faccio leva sul gomito e mi giro di scatto. Lui è sorpreso. Non pensava riuscissi a liberarmi con tanta facilità. Ma la sua attenzione ora è tutta per ciò che stringo in mano e io capisco che è la mia fine.
Gli basta un piccolo balzo. Sento i denti sulle nocche.
«E, no Pepus, se mi mordi non vale!» Si ritrae a queste parole. Pare mortificarsi ma nutro molti dubbi in merito.
Mi alzo scazzata. Ha capito di aver fatto l’unica cosa che non doveva fare ma non mostra alcun segno di pentimento. Guardo il pantalone e mi rendo conto che è l’ennesimo paio da buttare. Gli tiro l’osso nel corridoio e lui invece di soffrire con me, emette un guaito di felicità e si lancia all’inseguimento della sua nuova preda.
«Lo hai abituato male» la voce di Fernando arriva dal divano dove è stravaccato e da cui ha assistito silente al nostro spettacolo.
«Senti chi parla, quello che si fa mordere per gioco. Io almeno gli ho insegnato che con me non deve farlo».
«Il vostro amore è tossico» ride lui mentre smanetta con il cellulare.
Il testone di Pepus spunta dallo stipite della porta. Ha l’osso in bocca. Ci guardiamo e l’intesa è istantanea.
«No, il nostro è solo un amore bestiale» e insieme, io e il mio adorato cagnolone, finiamo con un salto sul divano atterrando sul povero Fernando.