Un altro giro

Esco nel vicolo dietro il CBGB, la porta del locale si chiude dietro di me e taglia via il suono acido delle chitarre dei Germs.
Respiro affannato, ho freddo. Quante ore sono passate? Due? Forse tre? Troppe.
Infilo una mano nella tasca della felpa e tiro fuori la bustina di plastica mezza vuota. Se c’è una cosa sicura è che la roba è sempre poca.
Sempre, fottutamente, troppo poca.
Vado a sedermi sul gradino dove venivamo a farci con Jade prima dei concerti e tiro fuori la scatoletta con la siringa. Mi tremano le mani mentre tiro su la manica della felpa.
Sul braccio pallido e rinsecchito, le vene si vedono da Dio. Attraversano la pelle pallida come strade viola e i vecchi buchi cicatrizzati, sembrano fermate dell’autobus.
Solo che non portano da nessuna parte.
Infilo l’ago, la punta entra bene, non sento nemmeno un pizzico e mi rilasso, appoggiato al portone che mi sembra soffice e comodo, come un divano.
Sto bene, tutto intorno c’è pace. Una pace che non puoi trovare da nessun’altra parte. E lo sento. Il calore che sale in tutto il corpo, mi riempie ogni cellula. E’ come un abbraccio amorevole di mille persone, condensato in dieci secondi.
Però il petto mi pesa, faccio una fatica maledetta per riempire d’aria i polmoni, è troppo pesante.
Anche Jane diceva che respirava male, l’ultima sera che ci siamo seduti qui.
Non mi importa, se stavolta ci siamo è così che doveva andare. Sono bravo ad arrendermi, lo sono sempre stato. Tanto vale godersi il viaggio.
 
Estate. Sulla strada di fronte alla casa dove abitavo da piccolo ci sono tutti: Casey Almond smilzo come un chiodo, Jade Bloom con i capelli legati in una treccia e Chris Sarand appoggiato alla sua bici rossa.
Mia madre è lì che parla con loro. Ha addosso una vestaglia viola e i capelli grigi pieni di bigodini di plastica. La vedo indicare la curva in fondo alla strada mentre con l’altra mano regge la bottiglia di wiskey.
Quando Casey urla “Al cimitero!”, anche gli altri saltano sulle bici e svoltano l’angolo.
Voglio andare con loro.
Mamma è rientrata e mi saluta dalla finestra con un sorriso triste.
Vai anche tu Mike, ma fai il bravo.
 
Oltrepasso le bici appoggiate al muretto del cimitero e spingo il cancello che cigola e raschia il cemento. La ghiaia mi scricchiola sotto i piedi mentre cammino nel vialetto costeggiato di lapidi nuove di zecca.
 
I miei amici sono là, sullo spiazzo in fondo al viale seduti a terra, con i vestiti impolverati di bianco e le sigarette in bocca. Jade soffia il fumo per aria e tossisce “Queste le ho fregate a zia Janet, sono forti!” la sua vocina sembra svanire, assorbita dalla terra del campo santo.
 
Mi avvicino cercando di non fare rumore con le tombe che mi sfilano a fianco. Più mi avvicino ai miei amici e più diventano vecchie, malmesse, coperte di rampicanti.
Le ultime tre sono più piccole delle altre, hanno le lapidi piene di crepe e di sporcizia. Passo la mano sul marmo freddo, una polvere marroncina mi si appiccica al palmo.
 
Casey Almond, 27 giugno 1968 – 30 aprile 1980.
Chris Sarand, 1° ottobre 1966 – 13 febbraio 1981.
Jade Bloom, 10 aprile 1966 – 20 maggio 1981.
 
Chris salta in piedi e si cala il cappuccio della felpa grigia sugli occhi. “Giochiamo al… beccamorto!”. Gli altri lanciano un coro di approvazione e iniziano a correre sparpagliandosi fra le tombe.
Avevamo cominciato così, per gioco, senza direzione, senza nessuno che ci dicesse a cosa ci stavamo avviando.
Voglio dirgli di stare attenti, di seguire una direzione, di farsi una vita dritta, orientata con dei progetti ma le parole non mi vengono, sento di nuovo freddo e una mano sul viso.
 
“Cazzo ha le pupille come due spilli. Tiriamolo su, svelti!” sento che l’uomo è vicino a me ma la voce mi sembra lontana.
Una luce blu lampeggia sul muro del vicolo.
“Forza, forza!” una donna mi prende per i piedi, porta una camicia bianca e ha i capelli biondi come Jade, ma senza treccia. Qualcuno mi afferra per le spalle, mi sento sollevare mentre vedo il retro di un’ambulanza con i portelloni aperti.
 
Mi tireranno fuori, anche questa volta, così potrò vagare di nuovo senza una direzione, senza punti di riferimento con l’unica certezza di ricominciare il giro.