La lagrimevole sorte del Conte Ricino

Cronaca della fine di un Conte. Un racconto di Giordano Efrodini.

 
In qualità di umile servo del Conte Ricino, vado a stenderne le ultime memorie, giacché il Conte medesimo venne steso nunc et semper proprio l’altr’ier sera da un manigoldo di passaggio. Ah, che le mie lagrime segnino questa triste pergamena!
Or bene, proseguiamo. Di antica schiatta e schiattato egli stesso nell’anno di grazia 1403, il Conte era il più nobile dei vampiri. Lo so bene io, che lavorai per i Dracula. Famosi, certo, ma di braccio corto. Avidi figli di una picca ben meritata! Il Conte invece era tanto munifico quanto bello, generoso e affascinante. Per l’armonia delle sue fattezze un dio greco si sarebbe sciolto in lagrime d’invidia. Avrebbe piegato a sé i favori delle dame e delle corti, se non fosse stato tutto per la sua patria.
Povero Padrone! Generoso fin dal primo momento, quando mi salvò dalla peste, che tuttavia mi lasciò questo grigio incarnato, il figurino macilento e l’aspetto generale che ci condusse poi al nomignolo di “Fistola”.
Ah, ma il perverso aguzzino del mio Signore non ebbe pietà della sua bontà. In tutto il contado è ben noto che il Conte non torturava per più di tre notti a settimana, e che delle pulzelle venivano dissanguate solo le più graziose, per più pie, per più oche.
Il Conte detestava la conversazione durante i pasti. Era forse colpa sua che fosse un uomo tanto generoso?
Il marrano s’introdusse nelle ore diurne, quando il nobile Padrone era più vulnerabile. Gli feci scudo col mio corpo, offrendo financo le mie grazie al bruto purché risparmiasse il Nobile Signore. Dopo aver vomitato sui miei pantaloni arrotolati alle caviglie, il mostro mi colpì scaraventando queste vecchie ossa contro la parete. Mi rialzai a fatica, gridando e tentando di fermarlo, ma quegli infisse il piolo nel petto di Sua Grazia, che esalò una colorita bestemmia udita fin nel borgo – ove le mucche non produssero latte per giorni tre – e poscia gli recise la graziosa testa, pose una testa d’aglio tra le sue labbra di cherubino e diede fuoco alla salma, alla bara, alla stanza e, per gradire, al maniero.
Piangendo calde lacrime, venni trascinato ai ceppi e rinchiuso in questa cella ove le mie memorie vengono scritte col sangue su un pezzo di ruvida tela.
Maestro, verrò a voi infine! Intanto, il vostro assassino viene acclamato Buon Signore di queste terre, l’eroe che ha liberato il popolo. Peste gliene incolga!

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