C’è un piccolo buco nel muro

Essere amati, un bisogno che, se tradito, porta a nascondere il proprio cuore nei posti più impensati. Un racconto di Mario Pacchiarotti.

 
«Eccoli qua, questi sono tutti in attesa di affido» spiegò la suora.
Anna e Luca si guardarono intorno.
Il giardino era animato dalle corse e dalle grida dei bambini, la giornata era assolata e l’aria tiepida.
Lo sguardo della donna si fissò sull’unica anomalia in quel quadro di allegria.
«Anche la biondina asociale?»
Non era difficile identificarla, era l’unica bambina che, seduta in un angolo, giocava da sola.
Una bolla di silente malinconia circondata dal caos.
«Ada. Sì, ma è un caso difficile: l’hanno riportata indietro già due volte» rispose la suora.
Anna e Luca la osservarono per qualche minuto. Lei non sollevò mai la testa, sembrava altrove.
«Viene proprio voglia di coccolarla» disse Luca a un certo punto.
La suora cacciò un sospiro: «Venite dentro, dovrete parlarne con la psicologa.»
I tre rientrarono, la bambina li osservò con la coda dell’occhio.
 
 
C’è un piccolo buco nel muro, in giardino, dietro la siepe.
Ci nasconde le cose preziose. Al sicuro.
Il pettine rosso, una stella, la sua amica di pezza e il suo cuore.

 
 
«No, non potete portare il fratello e non può dormire da voi, dovrete riportarla ogni sera. Almeno le prime volte.»
«Ma lui lo lasciamo qui? È orribile separarli…»
La psicologa scosse la testa decisa: «L’ultima volta che hanno dormito insieme è mancato poco che lei lo strangolasse.»
«Ma è sua sorella! Come è possibile?» chiese Luca stupito.
«Quando il fratello è nato, la madre l’ha portata in istituto… Non è stupida, ha capito il rapporto causa-effetto.»
Anna si arrese: «Ci dica cosa dobbiamo fare…»
 
 
L’uomo urlava. Lei non capiva le parole, ma aveva paura.
Urlava e rompeva le cose. Lei piangeva, ma piano.
Piangeva dentro, in silenzio.

 
 
Ada si era lasciata convincere.
La suora le aveva messo il giacchetto, Anna l’aveva fatta salire in macchina e si era messa dietro, con lei, mentre l’uomo guidava.
Erano arrivati a casa dopo mezz’ora di apnea, strette strette. Si era seduta sul divano ed era rimasta ferma lì, muta, guardinga.
Luca le chiese se volesse accarezzare il gatto. «Sì» fu la prima parola; le fusa generarono il primo sorriso.
In macchina, durante il viaggio di ritorno, vomitò. Due volte.
 
 
La stanza è rosa, pulita, un solo letto.
Accanto c’è il comodino, con un piccolo cassetto.
La signora le dice che è suo.
 
 
«Allora, avete deciso?» La psicologa appariva più seria del solito.
«Sì» rispose Anna. «Migliora: parla, gioca, sorride; solo quando è ora di riportarla torna triste e si isola. Durante il viaggio sta zitta e spesso vomita.»
«Va bene. Ma dovete capire che non è finita qui, vi darà ancora problemi, siete sicuri di essere pronti?»
Luca sospirò: «Sicuri? No. Ma lo faremo.»
 
«Un secondo!» urlò Ada, e corse in giardino.
«Ma dove va? Oh signore, speriamo che non faccia storie proprio ora…» sospirò la suora.
Anna sorrise: «Ma no, avrà dimenticato qualcosa.»
«Figuriamoci. Ho messo tutto nella borsa.»
«Eccola che torna.»
Ada arrivò di corsa e le porse una bambola di pezza.
«Ora tienila tu – disse – al sicuro.»

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