Ci penserà il gatto

Lo sapevo che finiva così!
Gliel’ho ripetuto mille volte che non so badare al gatto. Deve essere lei a occuparsene e soprattutto a farlo rientrare quando scorrazza in giardino. Non posso stare ore con le crocchette in mano a gridare “Ciccioooo” come se non ci fosse un domani, fino a che il principino non decide di rincasare. Che sono, il suo maggiordomo?
Beh, nonostante gliel’abbia detto e ridetto, non mi ha ascoltato. E a ‘sto giro, il principe ha deciso di andarsi a fare un giretto in paese, in piena notte e con un temporale che fa passare la voglia di uscire anche alle nuvole. Ma come gli è venuto in mente? I gatti non odiano l’acqua e il freddo? Ci sono tre gradi sottozero, e questo preferisce le pozzanghere al divano…valli a capire gli animali.
Fatto sta che ora tocca andare a riprenderlo. Metto l’impermeabile e la sciarpa e mi fiondo fuori casa col cellulare in mano. Al primo passo mi si congela il naso, al secondo inizio a lacrimare per il vento che mi sbatte in faccia e al terzo mi domando: perché lo sto facendo?
Perchè sennò quella mi ammazza! Unica risposta a tutti i “Perchè lo faccio?” degli ultimi sette anni.
Ho solo tre ore di tempo, dopodiché, sono fottuto. Se torna a casa lei prima di me posso dichiararmi morto e fuggire a Timbuctù.
Attivo la torcia del cellulare e punto la luce sotto un paio di auto ma del gatto non c’è traccia. Controllo a destra e a sinistra, sotto ogni macchina o cassonetto, scruto ogni angolo della via che porta alla piazza… il nulla totale. Neanche un topo da tingere di nero per farlo assomigliare a Ciccio.
«Cicciooo, Ciccio… vieni qui bello.»
Maledetto me che non mi sono portato neanche dei croccantini, e maledetto me che non ho chiuso la dannata gattaiola prima di farmi la doccia. E già che ci sono, maledetto me che mi sono fatto la doccia e poi sono dovuto uscire per infangarmi di nuovo. Che serata di merda!
Da sopra un muretto a qualche metro di distanza, una sagoma si muove indisturbata. Quando incrocia il suo sguardo con il flash del telefono, gli occhi si accendono come fari. Che sia lui?
«Ciccio, sei tu bello? Vieni qui su, dai che andiamo a casa.» Mi avvicino cauto, senza fare movimenti bruschi. Non capisco se si tratti di un altro gatto, ma dubito che gli altri siano in giro con ‘sto tempo.
Accorcio la distanza tra noi, passo dopo passo gli arrivo a un metro, posso distinguere il pelo nero che riflette la luce bianca della torcia. Devo afferrarlo e sperare che non scappi… o che non lo strangoli. Con un gesto rapido del braccio tento di placcarlo, ma lui è più svelto di me. Senza pensarci troppo mi salta in faccia artigliandomi come un forsennato. Mi divincolo e provo a strattonarlo con la mano libera ma, così in fretta come mi è saltato addosso, in fretta se ne va. Soffiando e sibilando si dilegua nella notte, inoltrandosi per le vie del centro.
Mi tocco il volto, ho la vista appannata. Quel maledetto mi ha ferito l’occhio destro, non riesco ad aprirlo e fa un male cane. Il sangue si raffredda in fretta sulle guance e provoca ancora più fastidio.
«Bastardo! Ti giuro che se ti prendo ti cucino in forno!»
Controllo l’orologio. Meno due ore alla mia esecuzione.
«Vuoi il gioco duro? A noi due allora!»
Infilo il telefono nel taschino dell’impermeabile in modo da avere la torcia puntata di fronte a me. Mi butto all’inseguimento tra le viuzze che circondano la piazza. Svolto due, tre, quattro vie e li, tra il negozietto di scarpe e la gelateria, lo vedo.
«Non mi interessa se hai quattro zampe o diciotto, giuro su Dio che ti prendo!»
Parto alla rincorsa, saranno dieci metri ma non mi importa, correrò per tutta la notte se dovesse servire, ma riprenderò quel fottuto gatto.
Preda delle mie convinzioni, realizzo solo dopo un chilometro che quattro zampe sono meglio di due. E che quattro zampe, oltre che a correre meglio, ti aiutano a superare meglio gli ostacoli. Immagino tutto questo mentre scivolo all’indietro su un sampietrino, sbatto la nuca e con l’unico occhio buono vedo le stelle che mi girano intorno.
Ho tirato una botta fortissima, oltre alla testa ho picchiato sulla schiena e le gambe non danno segno di vita. Non sento male, semplicemente non sento niente. Non sento più le gambe!
Cerco di restare lucido, per fortuna sono sveglio e cosciente. Prendo il telefono dal taschino e… inizia a squillare. «Cazzo!»
«Pronto, amore dove sei? Come mai non sei in casa?»
E adesso che le dico?
«Ascolta cucciola, devo dirti una cosa.»
La pioggia copre la mia voce.
«Cos’hai detto? Non ti sento!»
«Ho detto che devo dirti una cosa. Ho fatto un casino…»
«Amò, io non ti sento, tra la pioggia in sottofondo e Ciccio qui che chiede le crocchette non ci capisco niente. Me lo dici quando arrivi ok?» E butta giù.
Come un idiota inizio a ridere con il gatto che ora mi sta leccando le ferite. Quel bastardo di Ciccio se ne sta al caldo a godersi la cena, e io qui con un randagio a cui piace il mio sangue. Alla fine, perché lo faccio?
Perchè sennò mi ammazza, e se non lo fa lei ci penserà il gatto!