Un’altra volta

La luce nello studio è ancora accesa, Andrea starà ancora lavorando. Busso piano, nessuna risposta. Da dentro arrivano rumori di passi e un tonfo sordo. Deve aver acceso il ricordatore. Di nuovo.
Spalanco la porta, Andrea è sdraiato in mezzo a una strada, una Jeep nera è ferma a un centimetro dal suo viso. Tra le braccia ha il corpicino di nostra figlia Anna, un rivolo di sangue le scende dalla testa. Distolgo lo sguardo e fisso il ricordatore, la scatolina nera è sospesa a circa un metro da terra, all’angolo della stanza.
Mi avvicino. – Ferma il ricordo
La scatolina interrompe la visione e lo studio torna a essere una normale stanza con una scrivania e qualche libreria.
Andrea mi guarda, i suoi occhi sono arrossati. – Marta?
Sospiro e mi chino su di lui. I suoi pantaloni sono strappati all’altezza delle ginocchia.
– Quante volte l’hai rivissuto ancora?
Lui abbassa lo sguardo.
– Dai, – gli prendo un braccio. – Alzati.
Lo aiuto a tirarsi su. Ha delle occhiaie talmente profonde da far sembrare che lo abbiano picchiato.
Gli trema il labbro. – Sei arrabbiata?
– No scemotto, ma devi smetterla di torturarti così.
– È che… – gli trema la voce. – L’ho simulato così tante volte, e ogni volta che sono da solo non riesco a fermarla. Quando lei scappa le corro dietro, mi lancio persino davanti alla macchina, ma—
Lo abbraccio così forte da mozzargli il fiato. – Quante volte l’hai simulato ancora?
Tossisce.
– Prometti di non arrabbiarti?
– Sì.
– Cinque.
Sbuffo.
– Dimmi la verità o non ti mollo.
Appoggia il mento sulla mia spalla. È sempre stato così leggero?
– Questa era la ventiquattresima. Oggi.
Che idiota che è. Stringo le braccia un po’ più forte.
Andrea lancia un rantolo soffocato. – Marta… avevi detto che non ti arrabbiavi.
– Non sono arrabbiata. Ti sto ricordando che vivi nel presente.
Mi guarda con i suoi occhioni da cerbiatto. Sospiro.
– Ascolta. – Inizio, ma non so come continuare. Questo discorso lo abbiamo già fatto troppe volte. – Non importa quante volte fai quella simulazione. Di quanto cambi la posizione della macchina, o la tua, o quella di Anna. Quello che è successo tre anni fa non cambierà. Okay?
Andrea si stacca da me e mette qualche passo di distanza tra noi.
– E se dovesse succedere di nuovo? – Alza la voce. – E se io, di nuovo, non fossi pronto?
Incrocio le braccia. – Non è tutto sulle tue spalle, Andre. Esisto anch’io.
– Ma sono stato io – si appoggia una mano sul petto – a dirti di andare avanti quel giorno. Avrei dovuto raggiungerti con Anna sana e salva, come un qualsiasi padre normale!
Ora basta. Mi avvicino e gli afferro la testa tra le mani.
– Andre, fermati. Quel ricordatore, accidenti a me quando ti ho permesso di comprarlo, non è Dio. Non può sapere cosa sarebbe successo, si basa sui tuoi ricordi. Non importa quante simulazioni fai, non saranno mai la realtà.
Lui mi prende le mani nelle sue e le abbassa.
– Lo so… scusa. In questo periodo sono parecchio stressato, e quando sono stressato mi torna in mente quel giorno.
Finalmente riconosco l’uomo che amo. Mi avvicino e gli stampo un breve bacio sulle labbra. Non troppo lungo, non se lo merita.
– Bravo bimbo. Ti va se ci guardiamo un film stasera?
Dei passettini si avvicinano dietro di me e Andrea mi stringe le mani un po’ più forte. Mi giro, Anna ci guarda da dietro l’uscio.
– Mamma? Che succede?
Sbuffo e fulmino Andrea con lo sguardo. – Visto? A tuffarti per la stanza l’hai svegliata.
– Mamma? – Anna mi guarda confusa. – Perché papà si tuffa?
Le sorrido e le faccio cenno di entrare. – Non è nulla. – Mi viene un’idea. – Ti abbiamo mai raccontato di quella volta che ci hai fatto venire i capelli bianchi?
Anna scuote la testa e sgrana i suoi occhietti. – Perché? Che ho fatto?
Sorrido e mi giro verso il ricordatore. – Accedi ai miei ricordi. Proiezione semplice, nessuna alterazione.
Il cubo nero si accende, il flusso elettrico mi fa pizzicare la testa. Riporto alla mente quel giorno, a come sono andate davvero le cose, senza tutte le paranoie di Andrea; la macchina mi preleva il ricordo e lo proietta.
Attorno a noi si materializza una strada, noi tre compariamo sul marciapiede. Anna, quella vera, mi corre incontro e mi afferra i pantaloni con le manine.
Andrea di tre anni fa guarda la me di tre anni fa. – Sicura di non voler andare a casa? Farai tardi per il lavoro.
La me di tre anni fa scuote la testa e sorride. Anna vede qualcosa dall’altro lato della strada e si mette a correre. Io e Andrea le saltiamo davanti e l’afferriamo per le spalle. La Jeep nera ci sfreccia davanti.
La proiezione si interrompe e lo studio torna a essere uno studio.
Anna ridacchia, attaccata ai miei pantaloni.
– Scusa mamma.
Le accarezzo la testolina.
Andrea sta fissando ancora il punto in cui abbiamo schivato la Jeep. La sua espressione sembra un po’ più distesa. Ne usciremo, un passo alla volta.
– Marta. – La sua voce è un po’ più ferma rispetto a prima.
– Dimmi.
– Non ti arrabbiare ma…
Sospiro. – Cosa c’è?
– Potresti farmelo vedere un’altra volta?
Un timido sorriso si affaccia sul suo volto. E anche sul mio.