Disegno dal vero

La prima volta gli era successo una notte di agosto. Le zanzare lo avevano svegliato e dopo aver tentato invano di riprendere a dormire si era alzato sconsolato e aveva iniziato a disegnare insetti spiaccicati sul muro, macchie di sangue che si allargavano sul foglio a creare geometrie astratte che gli avevano dato una soddisfazione che non si riusciva a spiegare.
Il mattino dopo si era risvegliato sul suo letto senza ricordare di esserci tornato. Aveva faticosamente aperto gli occhi e scattato seduto non appena aveva scorso il muro di fronte: era costellato da decine di zanzare schiacciate in strani arabeschi bruni.
Quando era riuscito a fare quella carneficina? Il posacenere sulla scrivania traboccava di mozziconi spenti e i fogli accartocciati sul pavimento gli cancellarono tutti i pensieri: avrebbe dovuto consegnare le tavole entro mezzogiorno e lui non aveva che qualche schizzo pronto.
 
Iniziò ad avere dei dubbi la seconda volta: aveva passato la giornata colorando una foresta che sarebbe servita da sfondo a un suo collega e gli erano venuti talmente a noia tutti quei particolari: foglie, rami, gemme, pigne, che la sera, mentre con una mano scrollava distrattamente Instagram, con l’altra disegnava alberi spogli, piegati dal vento, sradicati e ammucchiati in uno scenario apocalittico.
Quella notte il bosco di Somadida venne raso al suolo da una tempesta senza precedenti.
 
I dubbi lo indussero a fare degli esperimenti. Disegnò la bottiglia dell’acqua in frantumi, la coperta del suo letto a brindelli, lo spazzolino ricoperto di insetti. E il mattino successivo trovò esattamente ciò che aveva disegnato.
 
Divenne più subdolo. A ridosso di una scadenza importante disegnò il suo capo in un letto d’ospedale, quando litigò con il suo vicino perché aveva parcheggiato bloccando il passaggio, salì di corsa in casa e abbozzò la sua macchina in fiamme…
 
Funzionava. Funzionava sempre. Anzi no, funzionava solo quando disegnava il male. Se disegnava il portafoglio pieno di soldi quello rimaneva sempre vuoto come prima, se disegnava un fiore che sbocciava, facile che quello, piuttosto, rinsecchisse…
 
Eppure questo lo infastidì, certo, ma non lo turbò. Anzi scatenò ancor di più il suo lato oscuro. Più disegnava scenari trucidi più si sentiva bene. Potente. Un dio. Purché sapesse disegnare ciò che voleva che accadesse.
 
Una sera venne Ambra. Era da tanto che non si vedevano.
Contemplò gli strani disegni ammucchiati sopra il tavolo della cucina.
«Stai illustrando un fumetto post apocalittico?» chiese, rivolgendogli quel suo sorriso sghembo che non sapeva mai se fosse curioso o derisorio.
Lui non rispose e fece spallucce. Avrebbe voluto solo baciarla, anzi, no, scoparla.
Ci posso provare, pensò. Di nascosto, prese un foglio e una matita e andò in bagno a disegnare…
 
Quello era il male per Ambra. E infatti, successe.
 
Il suo viso attonito, quando si risvegliò accanto a lui il mattino dopo, lo scosse.
«Che mi hai fatto?» gli chiese senza più sorrisi equivoci.
«Niente. Abbiamo solo fatto l’amore» rispose lui senza guardarla negli occhi.
«Mi hai drogata?»
«No, ti ho solo disegnata…»
E si alzò incapace di continuare.
«Cosa vuol dire “disegnata”? Dove vai? Spiegami!»
E lo raggiunse, furibonda, in cucina.
Lui era già all’opera al tavolo mentre tratteggiava i suoi contorni.
«Che stai facendo?» lo prese per le spalle cercando di fermarlo. Poi cadde, le gambe piegate innaturalmente all’indietro, esattamente come nel foglio.
Ambra pianse, per il dolore e per la paura.
In quel momento qualcosa, dentro di lui, si spezzò. Si voltò e guardando Ambra vide la sua malvagità. Aveva un solo modo per rimediare. La prese in braccio e la portò di nuovo a letto.
«Mi dispiace, Ambra. Ora passerà tutto, tra poco sarà tutto finito.»
 
Si sedette alla scrivania e prese a disegnare furiosamente.
Quando finì alzò il foglio verso di lei.
«Non vedo, da qui» le disse lei, ancora tremante.
«È la fine del mondo, Ambra».
E successe.