Domino

L’uomo all’inizio è una sagoma in controluce sulla spiaggia pietrosa, tra falesia e mare. Tanto lontano che lo potevo nascondere dietro un sassolino tenuto col braccio teso.
La mia tipa di allora vede che sono distratto e smette di baciarmi sul collo. Mi fa: «sarà mica un guardone?»
«Mah, a quest’ora di mattina è strano.»
La sagoma a ogni passo si fa più grande e inizia a prendere colore.
Bianco.
Avanza sui sassolini bagnati della battigia, luccicano da non poterli fissare. Il resto della spiaggia ondeggia nel calore, una pianura di ciottoli roventi e opachi. Rami scoloriti e cocci smussati.
Questo tizio ha la pelle arrossata e i vestiti di lino candido e svolazzante.
È lento ma ci raggiunge e ci supera limitandosi a un ‘salve.
Io e la tipa smettiamo di far finta di non guardarlo e lo salutiamo con un cenno.
Lui cammina ancora un po’ e alla fine si avvicina alla falesia, in un punto in cui invece della nuda roccia hanno fatto una massicciata di scogli. E questo tizio non prende ad arrampicarsi? Uno scoglio, due scogli. Con le sue zampette da vecchio si fa forza e con le mani completa la salita.
All’ultimo scoglio, quasi in cima, non si sa che succede. Solo che lo vediamo sbilanciarsi e volare di sotto.
La spiaggia è il solito deserto, lui è sparito tra gli scogli. Se non c’eravamo noi lo ritrovavano coi i granchi a pizzicargli gli occhi.
Ma noi lì c’eravamo.
Prendo una corsa da scalzo e mi distruggo i piedi sulle pietre. Lo trovo messo a testa in giù. Tutto il suo peso poggia sul collo, piegato a squadra a terra. Se ne sta così, col collo piegato e il resto del corpo poggiato alla falesia come una scopa al muro di casa.
Lo chiamo, gli faccio «Ehi, Cristo, sta bene?»
Lui fa una specie di pernacchia, tipo quelle che si fanno sulla pancia dei bambini. Solo che quando fa questa pernacchia, schizza sangue ovunque con le labbra.
E poi spalanca gli occhi. Mi fissa da quella posizione da film dell’esorcista. Io mi avvicino. Lui si piega di lato e mi smolla addosso il peso di una gamba così che ce la fa a stendersi senza spaccarsi il collo.
Manco a dirlo, non si ricorda niente delle ultime ore. Lascio la mia tipa a controllarlo e mi vado a dare una sciacquata in acqua, che ho il suo sangue sulla maglia, sulle braccia, sulle piante dei piedi e delle mani.
Il sale nei tagli sotto i piedi bruciava come l’inferno.
Questo stronzo di vecchio-che-si-crede-tanto-giovane-da-poter-scalare-una-falesia non muore, ma se ne sta anche tranquillo ad aspettare l’ambulanza. È un riccone di Milano che viene a farsi le vacanze estive qui al sud, scopriamo.
E il giorno dopo, quando arriva una telefonata, giuro, ero convito che mi cercasse per una ricompensa.
Invece era l’ospedale, una chiamata in via confidenziale dicono.
Sieropositivo dicono. Non è che hai toccato il sangue? Mi domandano.
D’istinto, ricordo ancora, mentre parlavo al telefono non facevo che strusciare i piedi.
Buffo come la stupida caduta di un uomo possa far crollare la vita di un altro, come tessere di un domino.