Il ladro

Le lancette del vecchio orologio si trascinano stanche verso la mezzanotte. Stanche quasi quanto me.
È tardi. Per tante, troppe cose. Forse anche per chiedere perdono. La mano trema mentre scrive le ultime parole di una lunga lettera. Arriverà quando il tempo sarà scaduto. Quando io non sarò che un pulviscolo dissolto nel vento. Scrivere quelle righe è stato il mio ultimo atto di coraggio e vigliaccheria insieme.
Sul comodino il luccichio della mia pistola mi attrae e spaventa in egual misura.
Piego i fogli con cura, li infilo nella busta color crema e la richiudo con cura.
Non so spiegare il perché ma scrivere l’indirizzo è difficile, eppure la forza per confessare il mio peccato poche ore fa sono riuscito a grattarla dal granito della mia anima. Costringo le dita e dalla penna viene fuori ogni carattere, calcato tanto che quasi buca la spessa carta. Guardo il risultato finale. C’è uno svolazzo di troppo in una vocale, il mio narcisismo che affiora per l’ultima volta.
Giro lo sguardo verso la stanza. La camicia è ripiegata sul divanetto, i pantaloni sulla sedia, il gilet e la giacca pendono dalla gruccia nell’armadio. Tutto è in ordine e sistemato come se mi attendesse un nuovo giorno. Peccato non rivedere la prossima alba. Il rimpianto sale come un veleno dal fondo del mio cuore. Quasi a soffocarmi. Apro la finestra sulla notte per inghiottire quanta più aria posso. La tua immagine, Paul, mi riempie gli occhi. L’acqua che ti inondava la bocca, l’asse su cui ci trovavamo che non poteva reggere il peso di entrambi, le mie mani che ti tengono la testa giù, le tue gambe che scalciano e mi colpiscono. Con forza. Con tenacia. Ti aggrappavi alla vita e io mi aggrappavo alla tua. La mia volontà di sopravvivenza è stata un lupo affamato. Alla fine ha vinto. Alzo lo sguardo verso l’unica stella che brilla in un cielo nero come un drappo e rivedo il tuo sguardo bianco fisso su di me mentre gli abissi ti accoglievano nelle loro braccia.
Tutta la mia vita è stata il frutto di un furto. Il debole ero io. Il mare, quella notte reclamava me ma ho giocato d’azzardo e ho cambiato le carte in tavola al destino. Ma con il fato si perde sempre. Ne sono sempre stato consapevole e ho vissuto ogni giorno certo che mi sarebbe stato presentato il conto. Solo che gli anni si sono accartocciati talmente veloci l’uno sull’altro che mi ero quasi convinto di avercela fatta.
Fino a stamattina. Un colpo di sonno e una donna che mi tocca la spalla. “Signore siamo al capolinea”. Il destino sa come giocare anche con le parole. Quando mi sono voltato per ringraziare ti ho rivisto Paul, mi sorridevi. Il mio sgomento l’ha preoccupata. “Si sente bene signore? Vuole che l’aiuti?” è anche gentile come te. Quando siamo scesi dall’autobus l’ho seguita. Fino a casa tua. Ho chiesto nel quartiere, e ora so di non aver rubato solo la tua di esistenza.
Devono sapere la verità. Devono poter piangere e imprecare contro l’uomo che beffando la sorte si è sostituito al loro padre. Vivendo una vita che non gli spettava.