Il tuo giorno

A volte succede qualcosa che ci porta a riflettere non sul comune tran tran quotidiano, ma sulla nostra vita. Direttamente dal Laboratorio di Minuti Contati, un racconto di ChiaradiLuna.

 
Eccoci, oggi è il tuo giorno.
Il portone della chiesa spalancato, i fiori, la gente. Le donne si schiudono appena accarezzate dal tiepido sole, gli uomini fanno i duri ma si stringono le braccia al petto. C’è chi ha già i fazzoletti in mano.
Ci guardiamo l’un l’altro stupiti. Siamo tutti un po’ cambiati, ma ci riconosciamo dai gesti. Riconosco la Michi dal suo modo di sistemarsi gli occhiali sul naso, riconosco il Gio dal suo canino che sporge quando socchiude le labbra, riconosco la Vale perché cascasse il mondo ha sempre tre pacchetti di fazzoletti nella borsa. Chissà loro per cosa mi riconoscono… Sorridiamo maldestri, siamo un po’ tesi, nessuno avrebbe mai pensato che ci saremmo ritrovati tutti assieme. Ogni anno qualcuno propone una cena di classe, ogni anno qualcuno è impegnato, ogni anno qualcuno non risponde all’appello.
E invece oggi ci siamo tutti. Persino i ritardatari cronici, quelli che a scuola si accendevano l’ultima sigaretta dopo il suono della campanella, oggi sono puntuali. Anche tu eri una di loro, ma oggi ti è concesso farti aspettare.
Forse è per questo che noi due non ci siamo frequentati molto; Io fin troppo ligio ai doveri di alunno, tu una che conosceva già il mondo al di fuori di quelle mura. Non sapevi come sarebbe andata la tua vita, ma di sicuro saresti uscita da lì. E questa certezza ti rendeva spavalda. Il più delle volte cercavi di passare in sordina, non volevi farti notare e non ti interessava la vita degli altri. Il tuo sguardo diceva “finché faccio la brava, non mi rompere”. Non sei mai stata cattiva, solo insofferente. Purtroppo per tuoi modi da lupo solitario, era davvero difficile non notarti e non avere voglia di parlarti. Sei sempre stata accattivante, una ribelle silenziosa, di quel genere di ragazze che vuoi solo perché possederle sarebbe un’impresa storica. Una vera calamita per ogni adolescente maschio. Non di una bellezza disarmante e spigolosa nel carattere, ma certo una scopata non te l’avrebbe negata nessuno. Ricordo ancora il giorno in cui ti sei tagliata i capelli corti, se lo ricordano tutti, e ci scappano sospiri tra gli occhi lucidi. Finalmente quel giorno abbiamo visto il tuo viso per intero, più tenero di quanto credessimo. E abbiamo scoperto quanto ti mettesse a disagio essere al centro dell’attenzione. Quella è stata l’unica volta in cui ti ho sentita simile a me.
Per il resto siamo sempre stati due mondi distanti, non sapevo nemmeno se venire qui. Non ci siamo mai cercati, né in classe né fuori, né prima né dopo il diploma. Semmai oggi avessi l’occasione di parlare con te non saprei nemmeno cosa dirti. Persino la notizia di te mi ha lasciato senza parole. Letteralmente.
Sono in ufficio, una mattina come le altre, concentrato sulle mie pratiche a dimostrare che la mia laurea serve a qualcosa. Al mio secondo caffè squilla il telefono.
«Pronto?» rispondo svogliato.
«Hai saputo?» con tono greve.
«Che?»
«Della Emma, dico…»
Black out. Sono sordo. Mi limito ad avvertire le vibrazioni del suo respiro e distinguo solo qualche parola qua e là (l’altro giorno – improvviso – questa domenica alla chiesa). La sua compostezza regge per raccontarmi tutti i dettagli (almeno credo), poi mette giù. Dopo dieci secondi buoni, allontano il telefono dall’orecchio. Rimango in silenzio fino a sera, indeciso se dispiacermi, spaventarmi, restare indifferente o contenermi in un placido rispetto.
Mi hai reso un’anima in un limbo.
Invece qui tutti sembrano sapere esattamente come comportarsi. Hanno già preparato le solite frasi di circostanza, se le ripetono tra di loro, quasi a recitare in un teatrino. Io mi sento di troppo tra le tante persone che ti amano, un pesce in mezzo a tante rane gracidanti.
Infine ho scelto di esserci, ma non per te.
Finita questa giornata ognuno di noi tornerà a casa sentendosi un po’ più legato agli altri. Ci berremo una birra in piedi nelle nostre cucine, sforzandoci di ricordare la prima volta che ti abbiamo vista tra i banchi, le prime parole scambiate. Poi ci verrà in mente di quando rispondesti male al docente e del silenzio che si era impadronito di tutti. Sorrideremo, perché tutto il terrore che seminasti quella volta si trasformerà in una ragazzata. Più ti penseremo e man mano diventerai più forte, più limpida, addirittura più carina, mentre i tuoi capelli corti e il tuo sguardo corrucciato ci faranno più tenerezza.
Per questo oggi è il tuo giorno, per questo sono qui, per questo siamo tutti qui.
 
Eccoti. La lunga macchina grigia si ferma davanti alla gradinata della chiesa.
 
Ti hanno ricoperto di fiori.
 
Chissà se ti piacevano, i fiori.
Di sicuro i crisantemi li avresti odiati.