L’isola di Marco

Ogni realtà è relativa alla propria visione. Male e bene si confondono e l’unica verità assoluta è che esistono solo vittime. Un racconto di Maurizio Bertino.

 
Marco era affacciato alla finestrella della casa-palafitta costruitagli dal padre al centro del grande giardino. Un uccellino si posò su un ramo di fronte a lui e cinguettò.
«Messere Volatix Volalà, com’è andata la perlustrazione?»
L’uccellino continuò a cinguettare.
«Capisco. E così siete giunto fino all’oscuro maniero della strega Mangiabella, colei che più mangia carne e più è bella, e non avete avuto l’ardire di proseguire? Non preoccupatevi, avete fatto il possibile. Domani, magari, vi spingerete un po’ più innanzi. Ora vada pure, si ritiri» disse scuotendo il ramo e facendo volare via l’uccellino «Io ho da fare.»
Marco abbandonò la finestrella e rientrò nella casa-palafitta. Un bambino era seduto su una sedia al centro della stanza, legato. Sembrava dormire. Marco gli si avvicinò.
«Ci hai pensato? Vuoi rispondermi?» il bambino non si mosse «Tu ci sei stato, vieni da lì, cosa c’è oltre i confini segnati dal nano che cavalca il nero cane dagli occhi argentati?»
Il bambino sulla sedia si mosse lievemente, rigirando la lingua cercando di parlare. Marco impugnò il coltello che gli aveva conficcato nella scapola e, lentamente, cominciò a estrarlo.
«E non provare di nuovo a dire che non sai di cosa sto parlando.»
Dagli occhi tumefatti del bambino sgorgò una lacrima e un lungo lamento senza speranza.
 
«Amore! Vieni a tavola! Il pranzo è pronto!»
Marco riconficcò il coltello nella scapola, il bambino svenne. Prese un asciugamano, si ripulì, raggiunse la finestrella e si affacciò verso l’esterno.
«Sì, mamma! Arrivo subito subito!»
 
«Amore perché hai tardato? La carne si fredda.»
Marco si sedette al suo posto al tavolo. La cotoletta di carne era bella fumante, l’odore invitante. Sorrise alla madre che si sedette a sua volta sorridendogli prima di fare il segno della croce e di guidarlo nella preghiera.
«Ti ringraziamo nostro Signore per il cibo nei nostri piatti e la protezione che ci fornisci nella vita di tutti i giorni, amen
«Amen» disse Marco.
Presero forchetta e coltello e cominciarono a mangiare, in silenzio e in religioso ascolto delle notizie del telegiornale. Il fatto del giorno riguardava un omicidio di massa avvenuto in un centro estivo per ragazzi a opera di un folle che la cronista sosteneva essere ispirato dai videogiochi di guerra. La madre osservava disgustata.
Terminato il pranzo, Marco aiutò a sparecchiare e a lavare i piatti.
«Come sta Luca?» gli chiese d’improvviso la madre prendendo un piatto che le porgeva il figlio.
«Penso di giocarci ancora per un giorno o due, mamma.»
«Fai anche tre, tesoro. Il papà non tornerà prima di giovedì e se non vuoi rimanere senza compagno di giochi devi andarci piano. E poi abbiamo ancora la dispensa piena, l’ultimo amichetto che ti ha portato era bello in carne, ci metteremo un bel po’ a finirlo.»
«Sì mamma» rispose Marco lanciando uno sguardo alla foto del papà sulla credenza. Era sempre via al seguito del circo per cui lavorava. Era un nano e il suo numero consisteva nel cavalcare Rex Terzo, il figlio del figlio del cane pastore tedesco con cui aveva iniziato quel mestiere. Ogni volta che tornava gli portava un nuovo compagno di giochi e gli diceva di farne quello che voleva.
«Mamma?»
«Sì tesoro?»
«Quand’è che potrò seguire papà in uno dei suoi viaggi?»
La madre si fermò con il piatto pieno di schiuma in mano, gelida. Marco capì di aver fatto la domanda sbagliata.
«Ingrato» disse lei «Noi ti abbiamo costruito un’isola felice, un’oasi nel letamaio di questo sporco mondo abitato da peccatori e sempre più pieno di mussulmani e tu chiedi di uscirne?»
«Scusa mamma, non volevo…»
«Ma non hai visto il telegiornale? Non hai sentito di quell’uomo privo di valori che ha sterminato un intero campo estivo?»
«Scusami mamma, davvero…»
«Qui hai tutto! Il papà lavora per pagarti ogni desiderio e ti trova sempre nuovi amici. Cosa vuoi di più?»
«Mamma, tieni questo piatto, scusami, scusami davvero tanto.»
 
Più tardi Marco raggiunse la sua casa-palafitta al centro del grande giardino che il padre aveva costruito per lui. Salì lentamente, piolo dopo piolo. Luca era ancora svenuto. Prese un ferro di cavallo e lo mise ad arroventare su un fuoco di un fornelletto a gas, quindi si affacciò alla finestrella
Guardò i confini del suo grande giardino, quelle grosse mura alte tre metri che ne circondavano tutto il perimetro. Erano trent’anni che cercava di scavalcarle, senza successo. Cosa c’era oltre quelle mura? Cosa c’era dall’altra parte dell’isola in cui i suoi genitori lo tenevano rinchiuso per proteggerlo dai mali del mondo?
Afferrò con una tenaglia il ferro di cavallo ormai fumante e si avvicinò a Luca, pronto a ricominciare il suo interrogatorio.