Il pellicano

 

Ho il mio sacchetto di pane, ed è tutto ciò di cui ho bisogno.
Ne accumulo tanto perché non mangio molto, quando mi riesce di succhiare qualche cucchiaio di brodo caldo mi sembra di avere lo stomaco già pieno.
Il dottore mi ha comunicato che la mia prostrata si è ingrossata e che la sensazione di sazietà può essere un sintomo di un intervento chirurgico che diventerà inevitabile. Non credo che mi farò operare da questi dottori, che hanno il titolo di studio ma mancano di qualsiasi capacità professionale. Dicono che peggiorerò, ma ormai non me ne importa più molto.
Me ne sto seduto, in disparte e con lo sguardo basso, aspettando il mio amico. Ho già buttato qualche briciola di pane, perché so che non resisterà e volerà qui da me, come al solito; ma al posto del mio abituale amico pennuto, arriva un uomo. Alzo lentamente lo sguardo, sorpasso scarpe, gambe, vita e torace per guardarlo in faccia. Come temevo, è lui. Quel dannato ragazzo spagnolo.
«Ola amigo, como estas?»
Mi tampina tutto il giorno, anche quando voglio stare da solo. Sembra che si sia affezionato a me, forse gli ricordo suo nonno o qualcuno della sua famiglia. Io non sopporto gli spagnoli, ma non è una questione razziale. Da piccolo sono vissuto in un quartiere che ne era pieno, ma ho imparato solo poche parole e mi risultavano tutti antipatici. Non li capivo allora e non li capisco adesso.
Grugnisco una risposta e torno a guardare le briciole di pane per terra. Spero se ne vada, ma lui, imperterrito, si siede di fianco a me.
«Te espera de su amigo con le plumas?»
Certo che aspetto il mio amico con le piume, tardo d’uno spagnolo, pensavi che mi divertissi a tirare briciole per terra? vorrei rispondere, ma faccio un cenno come a dire che non importa.
«Pennuto? Kraaa kraaa kraaa» fa lui, agitando i gomiti come una gallina.
«Non fanno quel verso, idiota d’un ispanico» dico tra i denti. Lui capisce, perché è spagnolo ma non è scemo, e ride.
«No más. Todos ellos están en el otro lado de la isla» dice stringendosi nelle spalle.
Capisco solo una parte della frase, ma mi basta. «Non è vero: l’ultima volta sono quasi riuscito ad accarezzarlo sul collo. Vedrai che verrà.»
«No màs. Se dio la semana pasada de que el veneno. V-e-l-e-n-o.» Scandisce l’ultima parola per farmela capire, poi fà un gesto come se le sue mani dovessero prendere il volo. «No creo que volverán para siempre.»
«Qualcuno gli ha dato del veleno?» chiedo distratto, ma in realtà sono preoccupato.
«Guardias» dice indicando il faro. «Creo que es porque los suelos. Cagada de pájaros. Mierda.» Ridacchia come se avesse fatto una bella battuta, e io, come mio solito, non afferro tutte le parole, ma solo il concetto. Getto il resto del pane per terra.
Avvelenare degli uccelli tanto belli solo perché sporcano in giro? Siamo per caso in un hotel di lusso? Fisso le guardie per molto tempo, pensando al modo in cui potrebbero finire annegate nella baia. Non ne accadono tutti i giorni di incidenti del genere in un posto come questo?
Mi ci ero affezionato a quel pellicano, e spero che non sia morto veramente per il veleno. Spero che sia riuscito a fuggire insieme ai suoi simili sugli scogli, nella parte dell’isola dove nessuno può raggiungerli.
«Ehi amigo! En què piensas?» mi chiede il ragazzo.
Gli sorrido. È qui da non più di tre settimane, ma forse sarà l’unico spagnolo utile della mia vita. «Bienvenido a la Isla de los Alcatraces» biascico in quel poco di spagnolo che ho imparato.
Lui ride, beato nella sua gioventù e ingenuità. Non credo che si renda conto del significato della parola “ergastolo”, ma a me sta bene così.
La sirena suona in quell’istante e ci alziamo entrambi per tornare nella nostra cella.