Messaggero

La pendola rintoccò sette volte e gli zoccoli di Gladys, al piano di sopra, attraversarono in fretta il corridoio.
Per il fauno era facile immaginare la figlia saltellare dal bagno alla camera, passare dal trucco alla scelta del vestiario. Gli era difficile resistere all’istinto di offrire il suo aiuto, ma una promessa è una promessa.
Doveva restare al piano terra.
Qiat scelse una bottiglia e versò il liquore sui cubetti di ghiaccio fino a ricoprirli, agitò il bicchiere e lo avvicinò al naso: l’odore di vaniglia e marzapane lo rilassò per qualche momento.
C’erano solo un paio di cose che voleva dire alla ragazza, prima che arrivasse il suo ‘cicisbeo’, e voleva essere perfetto, il miglior padre che si fosse mai visto.
Tirò fuori dalla tasca il foglietto con gli appunti, si rinfrescò la memoria e lo ricacciò dov’era.
Si avvicinò alle scale «Gladys, scendi. Ormai è ora.»
Il bicchiere che aveva in mano era troppo pieno, almeno due dita in più di quanto le regole del galateo e sua moglie buonanima avrebbero concesso. Ne prese un sorso, in casa era solo lui a portare le corna, ora: poteva concedersi qualche strappo alle regole.
Gladys era piccola, invece, a stento si sentivano due bozzette sotto il pelo riccio, quelle rare volte in cui ancora si concedeva le coccole del papà.
Doveva avere le raccomandazioni più consone, prima di uscire.
«Figliola! Sono sicuro che tu sia già bellissima, scendi adesso.»
Il campanello risuonò più volte.
Gli zoccoli tornarono a far scricchiolare le assi del soffitto, dirette proprio alla scala questa volta, ma si fermarono prima del pianerottolo.
Qiat sorseggiò di nuovo il liquore e cercò Gladys, inutilmente.
Aprì la porta.
Di fronte aveva un mazzo di fiori, con i pantaloni eleganti, che parlava: «Buonasera, signore. Sono Filotto, sono venuto a prendere Gladys.»
«Da’ qua, intanto, che appassiscono. Li mangiamo domattina, grazie del pensiero.» infilò i fiori nel cestello del ghiaccio «Dove —»
Il giovane fauno aveva delle corna lunghe, robuste; due perfetti riccioli d’osso, simmetrici e torniti. Roba che, ai più dotati, non cresceva affatto in una stagione, forse neanche in una mezza dozzina.
«Quanti anni hai, Filotto?»
«Ora non fargli il terzo grado, papà. Andiamo alla festa della mia B.F.F. E torno presto, promesso! Abbi fiducia.» Gladys si affrettò giù per le scale, una nuvola di tulle rosa che tentava di imitare una valanga.
Bella e delicata.
Diede un bacio sulla guancia del padre, con lo schiocco.
Infilò un braccia dietro la schiena del suo cavaliere, si allontanarono sul viale di casa e poi lungo la via.
Qiat riprese il bicchiere, il ghiaccio ormai sciolto.
Nello specchio dell’ingresso intravide se stesso. La gobba marcata, le corna ingrigite.
«Il miglior padre che si sia mai visto… neanche una parola hai detto…»
Trangugiò il liquore ormai annacquato e tornò al carrello dei liquori per riempire ancora il bicchiere. C’erano i fiori nel cestello del ghiaccio; quei fiori insulsi, dentro il suo ghiaccio.

Attraversarono il viale, in perfetto orario.
Il tulle rosa sballonzolava ad ogni saltello, Filotto cingeva di nuovo la schiena di Gladys con il braccio.
Sul portico, i due si misero l’uno di fronte all’altra, si guardarono negli occhi.
La mano sulla maniglia e l’occhio contro lo spioncino, Qiat aveva atteso quel attimo. Spalancò la porta e saltò, cercando lo scontro, corno contro corno.
Non gli servì andare oltre il primo impeto, né faticò a portare dentro casa la ragazza.
Qiat cercò di controllare il respiro.
Tirò fuori gli appunti e mostrò il foglio alla ragazza.
«Non sarò mai capace di essere il padre perfetto. Perciò, prima che tu esca di nuovo, figliola, lei ha qualcosa da dirti.»
Gladys riconobbe la grafia di sua madre.