Santo Sollievo

Ogni malattia ha la sua cura, anche quella più infernale. Un racconto di Simone Cassia.

 
Il corpo dell’anziano uomo giace di fronte a me in questo freddo, piovoso, pomeriggio inglese. Le gocce battono sui vetri creando un rumore snervante che si mischia al ronzio continuo delle lampade.
Questo posto è uno schifo. Una stanza ottagonale di cemento armato con un solo accesso, una porta blindata che è stata chiusa alle mie spalle, e sette feritoie rinforzate con barre di solido acciaio.
Con gesti calmi preparo la salma come ho fatto centinaia di volte durante gli anni di noviziato, con me ho tutto l’occorrente per lavare, ungere e rivestire il defunto in vista dei tre giorni di meditazione al suo capezzale, terminati i quali potrò prendere gli ordini perpetui.
La mia infanzia sembra così lontana, anche se credo di non averne mai avuta una. Ero ancora una bambina quando fui portata a scegliere questa vita di rinunce. La quarta figlia del Conte Theodore di Ruthland, potrei dire che sulla mia culla fu posta una corona di rosario invece dei sonagli e ben presto lasciai la mia casa per il collegio della Chiesa di Tutti i Santi ad Oakham.
Crescendo mi resi conto che l’ordine che era stato scelto per me era diverso da tutti quelli di cui avevo letto sui libri di storia. In questa neocattolica Inghilterra, l’Ordine Riformato delle Sorelle del Santo Sollievo ha ottenuto il plauso di ogni classe sociale. Le più grandi famiglie d’Inghilterra vantano un membro nell’ordine, persino la famiglia reale. La giovane principessa reale Mary è stata ordinata novizia presso il collegio di Westminster non più di un anno fa, ma per quanto possano trarne prestigio le grandi case, nulla impedisce alle persone di chiamarci Prefiche o Luttuanti e di mandare scongiuri al nostro passaggio.
Quando la salma è pronta, la vesto della Tunica dell’Attesa, la benedico con l’acqua e con l’incenso e mi inginocchio accanto a lei.
Svuoto la mente e controllo il respiro. Prego la Santa Vergine. Le parole si trasformano in sussurri, poi in respiri per poi scivolare in una condizione sospesa nel tempo. Benché da fuori appaia come un rigido tronco, ho cognizione di tutto ciò che mi circonda. Escludo i rumori e anche il battito del mio cuore smette di pulsare nelle orecchie.
 
I secondi, i minuti e poi le ore si rincorrono. Il tramonto cede il posto all’alba e questo ciclo si ripete per due volte senza che nulla turbi la mia veglia. Sento che il tempo sta giungendo al termine. L’aria nella stanza è pregna del puzzo della morte, benché gli olii e l’incenso tentino di nasconderlo.
“Una veglia tranquilla, dopo tutto” mi scopro a pensare. Pian piano riprendo coscienza del mio corpo e mi accingo a risvegliarmi con calma quando un grido disumano mi costringe a più frenetiche movenze.
Repentina impugno la sciabola deposta appena accanto alle mie ginocchia e con un gesto fluido decapito il risvegliato. Se anche questa notte fosse trascorsa tranquilla, il suo riposo non sarebbe più stato disturbato, ma così non è stato. Sono queste le regole di questo maledetto, oscuro, XXII secolo.

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