SMOG

“Ho visto Luca in piazza con un gruppo nuovo” mi calo il cappuccio della felpa sugli occhi per non vedere la sua mascella contratta. È preoccupata per me, lo so.
“Anche se Luca esce con una nuova compagnia non è la fine del mondo, ti farai dei nuovi amici”. La voce traballa, mi guarda, spia la mia espressione. Perché non smette?
“E comunque rimarrete sempre amici. Avete passato così tanti pomeriggi insieme” Mi viene da vomitare e mi nascondo un po’ di più nella felpa sperando che se ne vada. Perché non posso urlare e mandarla via in un uragano come nei film di super eroi. Come faccio a dirle che sono meno di niente, che Luca non esce più con me perché sono uno sfigato, uno zero. Anche gli altri compagni mi prendono in giro. Sento una voragine che mi si allarga nello stomaco, ma a lei non posso dire niente, non reggerebbe. Come faccio a toglierle l’illusione che vada tutto bene, che almeno la mia vita sia come deve essere.
“Dai ma’, lasciami studiare” la spingo fuori dalla stanza.
“Ma tesoro …” chiudo la porta e sbatto un pugno sul muro e poi un altro. Le nocche sono calde, rosse, mi fanno male, ma così sto meglio.
Mi metto a leggere un fumetto, accendo la tv, la play, ma niente. Luca era il mio unico amico e ora…
Mamma sta guardando la tv. Esco di soppiatto, voglio un po’ di fresco. Cammino a caso, tiro un calcio a un sasso, il cuore mi pulsa. È un dolore sordo che sa di rimpianti e di pomeriggi lontani.
Senza accorgermene arrivo al locale dove si trovano sempre. C’è il Bepi, Gianni e c’è anche Luca che ride. Da un po’ è diventato alto, non ha più brufoli. No, non devo piangere.
“Che fai?” mi chiede una vocetta stridula. È una ragazza, le ciocche in fondo ai capelli sono rosa, la frangia viola. Una sfigata, come me.
“Fatti miei”.
“Non mi dire che stai qui a guardare quei tre?” Lancia un’occhiata dentro il locale.
Non rispondo.
“Mm, non hai una bella faccia”.
“Ti sei guardata la tua?”.
“Simpatico. Vieni con me. Magari ti distrai da quei tre sfigati”.
La guardo “Perché sfigati?”.
“Ma guardali, tutti intenti a vantarsi, a credersi chissà che. Che palle, io ho di meglio da fare. Dai vieni”.
La seguo. Ha un buon profumo. Finiamo in un cortile e mi dà una bomboletta.
“Io dipingo il cielo, tu le nuvole”.
“Eh? Perché?”
“Perché ho l’impressione che anche tu voglia scappare, come me. E io non so farlo in nessun altro modo”. Prima che possa chiederle qualcosa, strappa il tappo della bomboletta, tira su le maniche dell’informe scamiciato grigio che indossa e comincia a spruzzare macchie azzurre.
Io la fisso immobile con quella la bomboletta in mano e vedo i tagli sulle braccia.
Qualcosa mi si agita dentro, vorrei dire qualcosa. Sto zitto.
“Allora, dai comincia”.
La guardo. Mi guarda. Tiro su la bomboletta “Non so da cosa cominciare”.
“Dai fai il cielo, è più facile“.
Mi lancia la sua bomboletta e prende la mia.
Comincio a spruzzare l’azzurro di un cielo che non è quello di questa città. L’aria della notte è tagliente, sa di smog mischiato al suo profumo. Mi piace. Forse è finito tutto quello che c’era con Luca e anche quel mondo che mi sembrava l’unico possibile. Forse ci sono solo io con questa bomboletta in mano e una ragazza con i capelli rosa vicino a me e va bene anche così. Prendo un’altra bomboletta. Lei mi sorride mentre guardiamo il muro azzurro tingersi del grigio dello smog che porto addosso. E finalmente un po’ di quel cielo lo sento dentro di me. Leggero.