Incubi di Natale in salsa Criminal Minds, ma senza gli agenti. Un racconto di Fernando Nappo.
Francesco si asciugò una lacrima e tirò su col naso: il momento era di quelli da ricordare.
Radunare la famigliola davanti al camino del soggiorno gli era costato un certo sforzo, ma ne era valsa la pena.
«Non andatevene, mi raccomando» disse ai presenti. «Torno in un attimo».
Andò in bagno e si diede una rinfrescata. Benché del giorno prima, la barba ancora non si vedeva: decise che poteva andare bene così. Si asciugò, si pettinò e si rifece il nodo alla cravatta.
Si sentiva a posto, sufficientemente in ordine.
Tirò giù le maniche della camicia e rientrò in salotto dove recuperò la giacca dalla spalliera della sedia su cui l’aveva abbandonata al suo arrivo.
Si fermò un istante di fronte alla tavola imbandita per le feste: sulla tovaglia rossa e verde, al cui centro spiccava l’effigie di Babbo Natale, c’era ogni ben di Dio: antipasti, primi piatti, portate di carne e pesce, dolci, vini e bollicine a volontà.
Scrollò il capo. «Prima di tutto, pensiamo a noi».
Si accomodò al centro della famigliola, tra il padre e la madre, ed estrasse il cellulare.
«Autoscatto fra tre secondi!» esclamò, e lo lanciò di fronte a sé.
Mentre il cellulare si posizionava all’altezza e distanza ottimali, indossò la sua vecchia maschera di Babbo Natale.
«Dite cheese».
Un istante di attesa, il lampo del flash e tutto era finito.
Francesco allungò la mano aperta e richiamò il cellulare a sé.
La foto era perfetta: la bambina, sulla sinistra, e il ragazzino, sulla destra, avevano mani e piedi legati, la gola squarciata ed erano tenuti in posizione eretta davanti al camino tramite corde inchiodate alla parete, orride marionette nel teatro che Francesco aveva predisposto per loro. Davanti, legati mani e piedi a due sedie, i genitori, anch’essi sgozzati. Francesco, mascherato, la camicia lorda di sangue, era alle loro spalle. Il timecode segnalava il 25 Dicembre 2050.
Sfiorò il display e passò alla foto scattata il Natale precedente. Un Natale niente male, tutto sommato: una famiglia di solo tre componenti, ma c’era tanto rosso, e il rosso è il simbolo del Natale.
Un altro tocco, un’altra foto, un’altra famiglia.
A ritroso, di foto in foto, di famiglia in famiglia, tornò al Natale di venticinque anni prima, alla prima foto, alla prima famiglia. Per quanto si sforzasse, nessun’altra era più riuscita a regalargli le stesse intense emozioni.
In quella foto, suo fratello, sua sorella e i suoi genitori erano seduti sull’antico divano rivestito in damasco rosso, la gola aperta da un lungo taglio. Francesco era al centro, il viso coperto dalla maschera di Babbo Natale. Alle loro spalle s’intravvedeva la tavola preparata per i festeggiamenti.
«Non avresti dovuto farmi venire per Natale, papà».
Spense il cellulare.
«Un giorno solo non basta».
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